O soi furlan, o ven di Udin, al friulano. Lo immaginiamo seduto a sorseggiare un bicier di liquore della Valle del Lumiei a base di frutta ed erbe della vallata carnica. Il grande vecchio che è più di una memoria storica. Esiste ovunque, da che mondo è paese. Ricorda il passato, indovina il futuro. Guarda lontano senza vedere in maniera nitida alcunchè.
Ma così, riesce a inquadrare ogni cosa. Sta a Cjamin di Codroip (Camino al Tagliamento), un comune della provincia udinese che non arriva a duemila anime. Passa i pomeriggi dirimpetto alla Chiesa arcipretale di Ognissanti, nel bar di paese. Mangia lecai (lumache) e brindul (prugna) con cadenza settimanale. Mastica di balon. Del calcio giocato non gli è sfuggito nulla e certe memorie, se allenate, non perdono colpi neppure se intravedono in lontananza Matusalemme.
LA STORIA. Nel 1911 non era ancora nato ma di quel che accadde il 5 luglio di quell’anno sa tutto: un gruppo di ginnasti della Società Udinese di Ginnastica e Scherma (1896) fondano l’Associazione Calcio Udinese con iscrizione regolare alla FIGC e debutto ufficiale nel corso di un’amichevole contro la Juventus Palmanova vinta dai friulani per 6-0. A capo della società, Luigi Dal Dan, padre di un certo Antonio che per i friulani è un personaggio indimenticabile: capitano della squadra di studenti delle scuole tecniche udinesi che fece da apripista all’Udinese Calcio, il pioniere del calcio bianconero.
I fotogrammi del primo, storico momento, il grande vecchio li vede invece scorrere nitidi davanti agli occhi: era il 1922 e l’Udinese raggiunse la finale di Coppa Italia, persa in finale per 1-0 contro il Vado. Fu un fuoco di paglia: nell’anno 1922-23 la squadra crolla in campionato arrivando ultima nel proprio girone e subendo la doppia onta della retrocessione in Seconda Divisione e della scissione per debiti.
Il 24 agosto 1923, infatti, si determina una vera scissione, da un club se ne formano due. Da una parte l’A.S. Udinese, dall’altra l’A.C. Udinese (gli attuali bianconeri), costretta a dare vita a bilancio e direttivo indipendenti. A sobbarcarsi l’onere di rimettere in sesto l’economia del club, ci pensa il Presidente Alessandro Del Torso appianando i debiti attraverso la vendita di quadri personali. Al’è cussì (le cose vanno così). La squadra riparte dalla Seconda Divisione, chiude la stagione al quarto posto e piazza un capolavoro l’anno dopo: prima nel girone, promozione in Prima Categoria. Il saliscendi che precede la Seconda Guerra Mondiale è l’anticamera verso il paradiso che si materializza alla fine della stagione 1949/50 con la promozione in serie A, conseguita dopo una cadetteria da protagonista e chiusa al secondo posto.
Cinque memorabili autunni nella massima serie, uno scudetto solo sfiorato nel 1954/55 (messo in bacheca dal Milan) e l’amarezza della retrocessione in B per illecito retrodatato: commesso il 31 maggio 1953 e portato alla luce nel 1955. O ti rialzi con progettualità, dopo una mazzata simile oppure – direbbe il grande vecchio – to tu le cjapis tai dincj. Te la prendi sui denti. E ti prepari a vivere con l’ombra minacciosa del peggio, che non ha fine.
Il declino dell’Udinese si materializza stagione dopo stagione tra gli anni ’60 e ’70. Quelli della serie C quale categoria di riferimento. Dal 1963/64 al 1977/78 con l’intermezzo (anno 1976) dell’ennesimo scioglimento: l’8 giugno 1976 si passa dall’Associazione Calcio Udinese all’Udinese Calcio (nome attuale) che si struttura come una S.p.A. Nel ’78 alla guida di mister Massimo Giacomini si approda in B. Poi in A con vittoria della Coppa Mitropa e retrocessione scampata (dopo averla subita sul campo) solo grazie allo scandalo del Totonero che interessò Milan e Lazio (retrocesse dalla giustizia sportiva). Quattro ani di tranquilla salvezza e poi, una luce accecante a illuminare una città dove fa freddo anche d’estate. Arthur Antunes Coimbra, detto Zico.
ANNI D’ORO. Roba che vederlo con la palla ai piedi, c’era da sentire caldo anche a dicembre, anche senza la grappa dei monti friulani. Uno spettacolo materializzatosi nel 1983. Il colpo di mercato più importante della storia del club messo a segno dall’Amministratore delegato Franco Dal Cin. 26.661 abbonati in una sola stagione, numeri da fare invidia anche all’Udin&Jazz, rassegna internazionale della musica istituita nel 1990. Sono anni di bel gioco con risultati discutibili – imprese memorabili come le vittorie con le big e posizioni finali di media classifica. Cambio di proprietà nel 1986 con l’insediamento di Giampaolo Pozzo per Lamberto Mazza: per il nuovo Presidente, strada in salita. Nove punti di penalizzazione per uno scandalo scommesse. Come se gli errori non insegnassero nulla.
Va savelu! Vai a saperlo. Conseguente retrocessione nonostante una disperata rimonta. Ancora serie B con la scoperta di un talento del calcio mondiale: nelle fila dell’Udinese arriva Abel Eduardo Balbo, subito capocannoniere e capace di prendere per mano la squadra (con lui Stefano Borgonovo, per un attacco che da solo faceva paura a qualunque formazione avversaria). Ci mette due anni a regalare la massima serie, appena prima di approdare – nel 1993/94 – alle dipendenze della Roma. Ancora un anno in B e poi solo serie A.
Sono gli anni di Giovanni Galeone e Alberto Zaccheroni, di Marcio Amoroso e Oliver Bierhoff, di Luigi De Canio e Luciano Spalletti, di Nestor Sensini e Martin Jorgensen, di Valerio Bertotto e Alessandro Calori, della coppa Uefa e della quasi Champions League. Anni di una promessa che diventà realtà. Nei quali i bianconeri si svestono dell’adolescenza – con annessi e connessi – per indossare abiti d’adulto. Seduto dirimpetto alla Chiesa arcipretale di Ognissanti, il grande vecchio, dispensa parole come fossero oro colato. Ma in due bisillabi sa dire tutto.
GIAMPAOLO POZZO. “Giampaolo Posso, al’è cussì. Robononis!”. Già: perchè oltre a perseguire un progetto di lunga scadenza, Pozzo è riuscito a trasferire nell’Udinese ciascuna delle caratteristiche della gente del Friuli. Capitare a Udine significa calpestare 56,81 km quadrati di superficie su cui camminano quotidianamente quasi 100 mila persone.
In fermento per un anno intero tranne a Natale, Pasqua, Ferragosto e il 12 luglio dei Santi Ermacora e Fortunato. Figlie e figli dei Patriarchi di Aquileia, della Repubblica veneziana, dell’Impero austriaco e dei partigiani – Udine è stata decorata con la croce al merito di guerra (1915-1918) e con il Valor Militare per la Guerra di Liberazione e per l’attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale. Gente di fatica, che lavora sodo per il conseguimento di obiettivi concreti.
Pochi grilli per la testa, senso pratico a volontà: se non ci si mettesse il destino, di grandi vecchi – in terra udinese – ce ne sarebbero a bizzeffe. Saggi e prudenti, formiche più che cicale. Lungimiranti come Gianpaolo Pozzo, udinese d.o.c. meglio noto come il Re delle “plusvalenze” per la capacità di pescare nel letame e – direbbe De Andrè – pescarci i fiori migliori. Con cui conservare uno standard qualitativo elevato e realizzare esercizi positivi di bilancio.
STAGIONE 2009/10. Ancora Pasquale Marino in panchina, dal 2007/08. Con la partenza di Fabio Quagliarella, si è sfaldata recentemente la coppia gol che ha consentito all’Udinese il record di tre giocatori prestati alla Nazionale italiana (l’altro è Simone Pepe). L’altro è Totò Di Natale, che ha cominciato alla grande anche quest’anno con la bellezza di 9 gol in altrettante giornate, al fianco el quale hanno trovato spazio i giovani di belle speranza.
Antonio Floro Flores, Francesco Lodi, Alexis Sanchez su tutti. Solito calciomercato in sordina con le attenzioni rivolte ai soldi in entrata (sfumato Gaetano D’Agostino alla Juve, la sola cessione di Quagliarella ha fruttato alle casse friulane 16 milioni di euro e la metà di Maurizio Domizzi) ma nonostante l’apparente immobilità, la formazione garantita a Marino è un valido mix di uomini di esperienza e giovanissime promesse. Cristián Zapata, Mauricio Isla, Christian Obodo, Bernardo Corradi, Paolo Sammarco, Felipe, Asamoah, Samir Handanovic, Giovanni Pasquale, Gökhan Inler. Con un gruppo così, la salvezza è lontana anni luce nel senso che si lotta con la garanzia di poter accedere a obiettivi più importanti. La graduatoria parla di 11 punti fin qui racimolati e della solita Udinese degli ultimi anni: capace di dare filo da torcere a tutti, di essere ago della bilancia di un campionato nel quale le big devono passare tutte – prima o poi – tra le grinze friulane. E spesso sono dolori.
Lo sa il Milan, che al Friuli ha rimediato una delle sue due sconfitte stagionali. Di Natale e compagni hanno fin qui altalenato: tre vittorie (tutte casalinghe contro Catania, Milan e Genoa), due pareggi (quello casalingo contro il Parma e quello del San Paolo contro il Napoli) e quattro sconfitte (a Genova contro la Sampdoria, a Milano contro l’Inter, in casa contro l’Atalanta e a Palermo).
Il filotto negativo degli ultimi tre turni – altrettante sconfitte – è allarmante e mette in bella vista la mancanza principale dei friulani, spesso disattenti e ingenui in fase difensiva con gli avversari che riescono a colpire con eccessiva facilità. Di Natale è da solo l’attacco: suoi 9 dei 12 gol messi in cassaforte dai bianconeri che sono la squadra più prolifica tra le mura amiche (10 dei 12 gol realizzati sono stati messi a segno al Friuli). Handanovic è una saracinesca anche in occasione dei calci di rigore (ne ha parati uno su due).
IL RISCATTO. Marino conosce pregi e difetti dei propri uomni. E li sviscera con cognizione di causa. Sa benissimo che i friulani hanno abituato a campionati in crescendo e non vive preoccupazioni particolari, nonostante i tre k.o. consecutivi.
“Finora ho visto una squadra giocare palla a terra e con un buon fraseggio. Abbiamo cercato le penetrazioni ed il tiro da fuori in diverse occasioni, non c’è stato un possesso di palla sterile. Siamo stati un pò imprecisi e sfortunati nella fase realizzativa, ma siamo sempre andati in campo con la mentalità giusta. Anzi, probabilmente abbiamo giocato meglio a Palermo che in altre partite coronate dal successo. C’è tempo per recuperare posizioni. In questo inizio di campionato non tutto ci è girato nel verso giusto ma l’ultima prestazione è stata molto confortante. Vogliamo tornare ad essere quelli del finale della scorsa stagione. Ho avuto risposte positive da tutti gli attaccanti. Floro Flores ha dimostato di saper giocare in tutte le posizioni del reparto offensivo: da centrale, da esterno di destra e da esterno di sinistra. Sicuramente qualche errore c’è stato, ma le prove non sono state deludenti. Abbiamo sempre creato occasioni da rete non solo con gli attaccanti, ma anche con gli inserimenti dei centrocampisti. Ora che abbiamo trovato il gioco, troviamo la continuità”.
Tradoto in soldoni, significa che per la Roma non sarà una passeggiata.
FORMAZIONE ANTI ROMA. Due i dubbi che Marino scioglierà in ultima battuta: quelli relativi al ballottaggio tra Pepe e Sanchez in attacco e Basta-Felipe in difesa. Gli undici iniziali, fermo restando le preannunciate incertezze e l’indisponibilità di Domizzi e Ferronetti, dovrebbero essere i seguenti: Handanovic, Felipe, Coda, Zapata, Pasquale, Asamoah, D’Agostino, Inler, Floro Flores, Di Natale, Pepe.
A guardarlo negli occhi, al grande vecchio, si cerca di cogliere un cenno che valga un pronostico. Arriva impercettibile: un movimento leggero della bocca a marcare un piccolo solco, un mezzo ghigno. Ti guarderebbe come potrebbe guardare un romanista per lasciare cadere ogni singola speranza. Poi sentenzia.
“Pisà cuitri svint!”. Non c’è niente da fare.
A. Bavaro
ANGELO 21 Febbraio 2010 il 17:42
A QUESTO PUNTO DEL CAMPIONATO L’UDINESE MERITEREBBE LA SERIE B, MA, SE IL SIGNOR POZZO HA RICHIAMATO MARINO ALLA GUIDA ELLA SQUADRA, VUOL DIRE CHE NON E’ TUTTO DA “BUTTARE”. COMUNQUE, I GIOCATORI DELL’UDINESE, SI DEVONO CONVINCERE DI ESSERE DEGLI OTTIMI ELEMENTI, E CHE QUESTA SQUADRA RIMARRA’ IN SERIE A A DISPETTO DI MOLTA GENTE.