Roma, scudetto, Sampdoria, Pazzini: Francesco Totti e Daniele De Rossi sono i due calciatori giallorossi sulle cui spalle, oltre a esserci il peso di una squadra che ne riconosce l’indispensabilità tattica e tecnica, s’è piombata come un macigno insostenibile tutta la pressione psicologica inclusa nella volata scudetto. Non pensarci, poi ricredersi, poi ancora starci dentro. Infine, provare un dolore atroce che non è l’avvicinarsi di una resa quanto piuttosto l’incunearsi di una amarezza inevitabile. Dovevano passare la notte, il Capitano e Capitan Futuro. Avrebbero avuto bisogno di tempo – qualche ora – per metabolizzare la sconfitta, alleggerire la pesantezza, tornare a vedere barlumi di luce. Per adesso è fioca.
Ma pur sempre luce. I volti delle giornate memorabili apparterrebbero comunque a loro: da romani e romanisti, indosserebbero i panni della romanità tutta. Roba che altri non potrebbero capire. Il contrappeso, di rimando, vuole che siano di Totti e De Rossi anche i visi di una serata piena di dolore. Perchè, anche nei momenti calcisticamente drammatici, la romanità dei due emblemi della squadra giallorossa sta lì a esprimere in maniera piena lo stato d’animo di chi la Roma la porta nel cuore.
TOTTI IMPIETRITO. Il Capitano aveva fame di campionato, la sfida contro la Samp l’ha voluta a tal punto da chiederlo quasi come favore personale a Claudio Ranieri. Ha riposato nella semifinale di Coppa Italia contro l’Udinese – Totti – per essere in forma splendida contro i blucerchiati. Il Capitano aveva fame di scudetto e non attendeva che l’istante per rimettersi addosso il suo 10, riprendere il pallone tra i piedi e trasferirlo nella porta avversaria. Il Pupone non ha tradito: gli sono bastati 14′ e il primo pallone giocabile. Storari, unica volta in tutta la sera, s’è inchinato e ha piegato la testa per vedere il pallone rotolare nel sacco. Poi, un’agonia lunga, lunghissima. La frustrazione di aver costruito innumerevoli occasioni e il dato di fatto di non avrene chiusa – la Roma, in termini di collettivo – nemmeno una. Al triplice fischio, Totti era impietrito. Silenzio di tomba: lo stesso che ha accompagnato la Roma fino all’anticamera del sogno. Lo stesso, ma senza il sorrisino. Il volto del Capitano è diventato una maschera. Inespressiva, smunta, le espressioni deformate e allungate. Ha fissato un bel po’ nel vuoto, prima di riaggrapparsi al trionfo riservato ai capitolini dalla Curva Sud.
DE ROSSI NON E’ LUI. A dispetto della barba che cresce, e che lo fa sembrare più adulto e burbero di quel che siamo abituati a immaginare, Capitan Futuro è crollato letteralmente. Difficile capire se sia solo una faccenda fisica, solo psicologia o l’insieme delle due cause. Vero è che De Rossi, in occasione delle due gare più delicate della stagione giallorossa – il derby e la partita contro la Samp – non s’è presentato. Ha cominciato bene in entrambe le circostanze, poi è crollato con il passare dei minuti. Ranieri l’ha sostituito contro i biancocelesti, non l’ha fatto ieri sera. Nervi a pezzi, ha giocato la tensione emotiva che se da un lato portava il centrocampista a spaccare il mondo, dall’altro ne ha limitato la lucidità. Si è smarrito come, a fine gara, racconta quel volto incredulo. Peril risultato, in generale, e per la prestazione, nello specifico. De Rossi non è lui. E a questa Roma manca un riferimento fondamentale.