Dal Romanista:
Ha ragione Antonello Venditti. Ha ragione lui quando dice “dimme cos’è, che me fa campa’ ‘sta vita così piena de problemi”. La risposta è semplice: è la Roma. E’ quell’emozione lunga 90 minuti (più 4 interminabili di recupero) e 450 chilometri. E’ quell’amore che ti fa alzare alle quattro e mezza per partire un’ora dopo, arrivare a Bari all’ora di pranzo, trascorrere 78 eterni minuti prima del casello, a pochi passi dallo stadio. E’ quella felicità che pervade 15mila (di più, di meno, eravamo comunque tantissimi) persone al gol di Vucinic e poi le fa imprecare, soffrire, gioire, piangere, abbracciarsi, prendersi a schiaffi quando l’arbitro fischia la fine.
E dice che siamo ancora lì, a meno uno, a un passo dal sogno. La lunga giornata dei tifosi romanisti in pullman inizia quando è ancora buio e la Capitale dorme ancora. All’Eur si ritrovano 3 autobus, più o meno 150 persone. Qualcuno, bontà sua, già canta. A Casal Bertone, su indicazione della polizia, ci si incontra con gli altri autobus e si va tutti insieme, scortati dalle forze dell’ordine, a Roma-Est. Gli agenti obbligano tutti a passare per Pescara e poi fare l’Adriatica: si allunga di un centinaio di chilometri, ma è più sicura.
Dicono. Qualcuno borbotta, qualcun altro dorme. Il sole sorge e si va. Qualche sosta all’autogrill, con tanto di partitella nel parcheggio, e arrivo in Puglia poco dopo mezzogiorno. Fa caldo, un autista apre il portellone superiore del pullman. E quattro ragazzi ne approfittano: salgono su, issano le bandiere e le sciarpe e arrivano a Bari sventolando i vessilli. Imitati da migliaia di macchine: mai fila fu più colorata.
C’è chi scende. Michele fa vedere il suo stendardo: “Tutto il resto è noia”, Roberto racconta del suo tatuaggio nuovo sul polpaccio, zio e nipote mangiano un panino con la Nutella. A poca distanza da loro una ragazza così vestita: jeans, top scollatissimo bianco (non riferibili in questa sede i commenti degli uomini) e scarpe dello stesso colore tacco 12. Complimenti per il coraggio. Si arriva al San Nicola: un ragazzo, sui 35 anni, entra col biglietto a nome Bin Laden. Gli chiediamo di poter fare una foto, risponde: «No, grazie. Non vorrei avere problemi. Posso solo dire che l’ho preso in zona Appia». Inizia la partita: si canta. E tanto. Roma, Roma, Roma è da brividi e sovrasta l’orrendo (“Nun se po’ senti’…) inno dei padroni di casa. Segna Mirko, Paolo manda un sms a casa: «Meno male che non è mai decisivo… ». E’ per il fratello – racconta – che non ha in simpatia il numero 9. Secondo tempo, le parole di Stefania: «’Na sofferenza senza fine». Rizzoli fischia, “tutti a casa alé”. La Roma sotto la Sud (e come ti sbagli…). Tommaso, sopracciglio zebrato modello Miccoli e tuta giallorossa, commenta lapidario: «Mo sì che ce credo ».