PER CAPIRE. Si immagini uno come Mourinho presentarsi per mesi in conferenza stampa con un mazzo di fiori per ciascun giornalista. Spettatori sconvolti, ne morirebbero gli stessi giornalisti. Forse appassirebbero seduta stante pure i fiori. Per questo, volenti o nolenti, alcune constatazioni spiazzano proprio mentre irrompono con veemenza. D’improvviso, il vento è cambiato. Da alter ego di una mentalità diametralmente opposta – alla Mourinho, diremmo per intenderci – Claudio Ranieri si è di punto in bianco trasformato. Non più il volto della serenità, non più l’emblema di un modo pacato e signorile di intendere il calcio e affrontare ciò che gli gravita intorno ma la trasposizione di maniere “crude e gagliarde”. Nei confronti della squadra, nei confronti della stampa. Rispetto ad accuse e critiche, continua a esserci, da parte del testaccino, una necessità non sempre comprensibile di difendersi, fuori dal rettangolo di gioco, attaccando. Mentre in campo, la rosa sembra dover seguire alla lettera un dogma: quello di badare alla fase di retroguardia prima ancora che a quella offensiva. Ossimori. Solo nei confronti dei tifosi, per i quali le parole spese dal tecnico giallorosso non hanno mai peccato di mancanza d’affetto e riconoscenza, il romano ha saputo conservare coerenza rispetto alle vecchie maniere.
CONTESTO. Non è la cavalcata inattacabile sotto ogni punto di vista della passata stagione, semmai un periodo di complessità più o meno marcate ed evidenti: la Roma di inizio campionato sembrava un gruppo a pezzi e da ricostruire. Si è parlato, allorchè i risultati non arrivavano, della mancanza di motivazioni, di una preparazione atletica criticabile, di non-gioco: il campo mostrava calciatori fiacchi mentalmente e stanchi fisicamente. In quattr’e quattro otto, il clima da “famiglia allargata” di Riscone di Brunico – con una fetta cospicua di tifosi al seguito (quale altro tifo può vantare un credito simile nei confronti dei calciatori che ne rappresentano il club?) è parso sfaldarsi. Ha inciso la confusione di una società parsa tale, troppe volte, solo sulla carta: di fatto, il periodo lunghissimo del passaggio di consegne dalla famiglia Sensi al fantomatico prossimo presidente non è indolore e ha prodotto momenti di evidente confusione. Gli strascichi di un mercato nel complesso più che sufficiente ma sempre risicato e centellinato a causa di impedimenti oggettivi (no money, no fenomeni) si sono affievoliti solo quando Unicredit ha garantito il lasciapassare per mettere le mani sul cartellino di Marco Borriello. Neppure la banca, tuttavia, ha potuto risolvere le situazioni di criticità contrattuali di alcune pedine della squadra (Mexes su tutti) e dello stesso Ranieri. Il testaccino andrà in scadenza la prossima estate e, nonostante le migliaia di garanzie ricevute da Rosella Sensi in merito al rinnovo, non ha ancora prolungato. E non certo per volontà sua.
PRIME VOCI. Dati di fatto: Ranieri cambia modo di approcciarsi a situazione e persone in corso d’opera. Scelta ponderata? Cominciamo con la realtà oggettiva che aiuta ad avere il quadro: a montare malumore e preoccupazione nel testaccino, quindi, c’è evidentemente il continuo procrastinarsi dei termini di accordo con il club per rinsaldare patto e rapporto. “Basta una stretta di mano”; “ci si vede presto”; “nessun problema”; “mi basta la parola”. Che non sia proprio come la facciata lascerebbe intendere, tuttavia, lo si capisce con il passare dei giorni, la carenza di risultati, le prime voci a infiammare l’ambiente già tossico. Caratteri cubitali di una stampa che non fa nulla di più e nulla di meno rispetto al solito: raccoglie tasselli e li mette in fila. Ricostruzioni da ottobre 2010: “Lippi in arrivo”; “Sondaggio per Ancelotti”; “Ranieri rischia l’esonero”; “Domenica decisiva per il testaccino”. Soprattutto l’ultimo, è un titolo letto con cadenza frequente: più di un appello, per l’allenatore, che ha vissuto con l’ombra di un nuovo tecnico per un mese abbondante.