Esordisce in maniera secca, decisa. Aldo Spinelli è stufo, lo si intuisce anche solo per il tono di voce.
“Il Verona? Vorrei sapere chi mette in giro queste fesserie, roba da querela. Io del Verona non ne voglio sapere nulla, non mi interessa. Lo dica, per cortesia“.
Presto fatto: anche perchè la notizia, semmai, è un’altra. Il patron del Livorno, dopo 12 anni di sudatissima dirigenza, è stanco. Del calcio.
“Non ce la faccio più, ho voglia di uscire dal mondo del pallone, vendo il Livorno a un acquirente degno della gloria di questa società e animato dalle migliori intenzioni e stacco definitivamente la spina da questo contesto. Cosa vuole, arriva un momento in cui la voglia non c’è più e le energie nemmeno“.
Le parole escono nitide dalla bocca di Spinelli ma non riescono a nascondere un senso di pesantezza che si palpa anche così. Attraverso il telefono.
“Voglio chiudere nella maniera più decorosa la stagione con il Livorno, dobbiamo provare fno in fondo a conservare la categoria e finchè la matematica non condanna tutto rimane possibile. Gennaro Ruotolo è chiamato al miracolo ma la sua determinazione mi basta: siamo arrivati in questa situazione per colpe che vanno suddivise equamente. Cosmi? Bhè, sappiamo chi è ma non è il solo ad avere responsabilità“.
Nascere a Palmi e finire a Livorno dopo essere passato per Genova. Specializzarsi nel mondo dell’autotrasporto (riferimento indiscusso del contesto genovese con un impero che va dai camion ai containers, dal turismo alla cantieristica) e inventarsi presidente di calcio.
L’impegno e la passione che hanno contraddistinto da sempre il cammino professionale di Aldo Spinelli, a un certo punto del percorso (era il 7 maggio del 1985), è cominciato a rotolare verso lo sport. Come un pallone che prende possesso dei metri di campo. Il trade d’union della carriera – calcistica e non – del dirigente classe 1940 è Genova: sotto la Lanterna, infatti, tra una frittura e una focaccia, Spinelli ha cominciato a mettere in piedi un’azienda ancora oggi florida e a masticare il calcio. Affari, in primo luogo. L’amore che cresce piano piano. Con il passare degli anni. Dal 1985 – quando era ancora in serie B – al 1997, il Genoa ha compiuto un percorso sportivo di tutto rispetto. Coinciso con le sei stagioni in serie A e culminato – quale punto massimo – nelle semifinali di Coppa Uefa dopo aver sconfitto il Liverpool all’Anfield Road (stagione 1991/92, in finale ci arriva l’Ajax in virtù della vittoria ad Amsterdam per 3-2 e del pareggio per 1-1 al Marassi). Con un occhio al bilancio e un freno all’entusiasmo: Aguileira e Skurhavy, passando per Van’t Schjip, ovvero un organico a tal punto qualitativo che mantenerlo in Grifone sarebbe stato proibitivo. Più di un decennio di palpitazioni, prima di decidere che fosse ora di una boccata d’ossigeno. Di una pausa: due anni di osservazione disinteressata, poi la nuova sfida. A riaccendere entusiasmo. Con i labronici. Dal 1999 a oggi. A settant’anni compiuti da una manciata di settimane, del calcio giocato – a Spinelli – è rimasto solo il senso di partecipazione che accompagna gli sportivi. La volata scudetto, la lotta per non retrocedere, i destini delle italiane in Champions League, i Mondiali di giugno. Gli interessano, eccome. Ne capisce, altrochè. Ma la sensazione che trasmette è quella di immaginarlo a immaginarsi davanti alla tivvù. E fare lo spettatore. Perchè è proprio nei frangenti in cui lo si chiama a fare da opinionista che pare svuotare la mente da ogni preoccupazione e tornare a gustare il calcio con la passione genuina.
“Roma e Inter: in quest’ordine. Il Milan non ha molte possibilità“.
Presidente, sarà mica un ricambio di cortesia verso la squadra delle tre contro cui avete fatto più punti?
“No, mi creda: non è con la Roma che avremmo dovuto fare punti ma con le piccole. Con le dirette concorrenti alla salvezza. Ed è lì che abbiamo mancato. I giallorossi li vedo favoriti nonostante il punto di svantaggio perchè stanno vivendo un momento sensazionale. E poi la squadra di Mourinho ha, inevitabilmente, più di un pesiero rivolto alla Champions League. Che auguro loro di vincere. La marcia dei capitolini è stata strepitosa. Poi, adesso, subentra un fattore che si va ad aggiungere a quello motivazionale: è l’entusiasmo. Li vede i calciatori della Roma? Sembrano invincibili perchè vanno tutti verso la stessa direzione“.
Certo, soprattutto pensando a come era cominciata.
“Esatto, ma non solo a quello. Perchè un ciclo può anche aver bisogno di rigenerarsi, può anche arrivare a un momento poco proficuo ma in questo caso sento di dover fare un paio di elogi. Il primo alla proprietà: perchè se si dispone dei soldi di Moratti e si ha la possibilità di metterli a servizio di referenti competenti, vincere è facile. Invece Rosella Sensi è Daniele Pradè hanno dimostrato senza ombra di dubbio che le capacità, seppur private di risorse ingenti, possono portare lontano. Il mercato della Roma, in questo senso è chiaro: l’affare Toni è un capolavoro di relazioni, per il resto la rosa è stata pensata in maniera funzionale alle esigenze di gioco“.
Quello di Spalletti.
“Ovvviamente, ma è qui che trovo l’assist per il secondo degli elogi: a Claudio Ranieri. Perchè è un signore, un professionista di tutto rispetto, una persona capace di dettare tempi, modi e comportamenti ai propri giocatori. Uno che esige disciplina e che lavora con la palla. Ranieri è l’altro artefice del miracolo giallorosso“.
Le ricorda magari qualche tecnico, tra quelli con cui ha lavorato.
“Altro che, ce n’è uno che lo ricalca in maniera lineare. Osvaldo Bagnoli, con cui feci un campionato (insieme nel Genoa del biennio 1990-92, ndr) stupendo. Aveva la capacità di farsi rispettare dai giocatori e se concedeva un riposo o li lasciava liberi, nessuno si permnetteva di approfittarne. Di eccedere. Lui voleva lavorare solo con la palla. Altro che palestre e altre invenzioni: tutte cose che ci stavano solo nella fase di preparazione estiva. Per il resto, il calcio era palla al piede, poche storie: serviva come oro a quelli più scarsi e andava bene ai più forti, ai talenti“.
Come Totti, Presidente. Ce l’ha mai avuto in squadra uno così?
“Magari. Magari. Ma uno come Totti non è che lo possono vantare chissà quanti Presidenti. Totti è il calcio, un campione che anche adesso che è convalescente sta tra i primi tre in Europa. Per forza e classe. Come si fa a mettere in discussione Totti. Non immagino neppure l’Italia ai Mondiali senza il Capitano. Certo, deve volerlo e deve stare bene, ma a giugno occorre portarlo. Eccome“.
A quel punto, con la comitiva in SudAfrica, Spinelli potrebbe già essere un uomo più sereno di adesso: seduto in poltrona a tifare per Lippi come tre quarti d’Italia. L’esperienza del calcio, in quel frangente, potrebbe pure far parte dell’album dei ricordi di Aldo Spinelli. Un quasi ex Presidente con l’ultimo ruggito da spendere. Perchè le energie di riserva del calabrese si esauriranno in una volata lunga sei giornate. Con il Livorno ancora in A, sarebbe il commiato ideale.