SEMBRA TIMIDO. Messo lì a margine di una penisola – quella balcanica – a cui, fosse un uomo in carne e ossa, mancherebbe carattere. Soggiacere coi gomiti poggiati sulla finestra slava che si affaccia all’Adriatico e specchiarsi nell’immensità delle acque cristalline di un mare preso d’assalto dai turisti. Sembra impaurito. Il Montenegro. Il mare no: quello è protagonista. Blu, a tratti verde e in certi momenti, col sole che s’adagia quieto, l’azzurro intenso diventa rossiccio. Guardando uno di quei tramonti, al rientro dopo gli allenamenti con il suo Sutjeska, Mirko Vucinic deve averlo immortalato, quell’attimo. Un giorno. Poi l’altro. Poi l’altro ancora. Il momento in cui il giallorosso di una giornata che apre varchi alla notte divora il biancazzurro marino visibile nelle ore di luce intensa. Un giorno. Poi l’altro. Poi l’altro ancora. Rimanere proiettato in quel presente adolescente e sognare il futuro dietro l’orizzonte.
IL DESTINO. Chissà se a starci attenti, ai segnali del destino e alle incursioni casuali della sorte, un uomo a caso potrebbe mai capire – per davvero, voglio dire – il percorso che verrà: se alcuni fotogrammi siano preveggenze. Se piccole visioni siano stimoli. Sollecitazioni. Perchè fosse così, con le snickers tra le mani per far respirare il piede e il lento procrastinare del tempo, Mirko Vucinic avrebbe potuto anche intuirlo che qualche anno dopo, un paio di misere scarpe da ginnastica sarebbero diventate Nike Vapor Superfly II. Le sue.
SEMBRA TIMIDO. In quel perbenismo figlio di tante cose viste dagli occhi, udite dalle orecchie. Fosse un ospite, dà la sensazione che avrebbe paura perfino di suonare il citofono per giungere a un appuntamento concordato. Quieto, efficace, concreto e mai superfluo. Sembra timido per quella correttezza che gli si riconosce e che stona – francamente – con l’istintività di parecchi colleghi. Compagni. Gentile nel toccare la palla. Pacifico con gli avversari. Sembra impaurito. Mirko Vucinic.
In quel suo intercedere in mezzo al campo, tra le maglie avversarie, nell’affacciarsi alla porta ospite. Chetarsi coi gomiti poggiati sulla partita in corso che ha uno svolgimento frenetico e conoscere a memoria ogni movenza e gesto utile a finalizzare ripartenze decisive. In quell’indole strettamente connessa alle esistenze di tante donne e uomini che alla vita non hanno mai potuto chiedere molto. Confinati in quella mollica di terra che pare una briciola caduta dalle mani. Il Montenegro. Mirko Vucinic.
IL DESTINO. Dall’infinitesimamente piccolo, il ventiseienne attaccante della Roma ha portato via una visione inversamente proporzionale alle dimensioni dello staterello. In valigia, solo un attimo. Vissuto un giorno. Poi l’altro. Poi l’altro ancora. Il momento in cui il giallorosso di una giornata che apre varchi alla notte divora il biancazzurro marino visibile nelle ore di luce intensa. Era scritto nelle pagine della biografia di Vucinic. Affogarsi come quel tramonto e sbranare il mare con la voracità di chi sembra in apparenza timido. Il Lecce. La Roma. L’istante in cui il giallorosso di una passione viscerale squarcia con lame affilate il biancazzurro a quel punto inerme di una passione altrettanto grande.
VUCINIC VEDE BIANCAZZURRO. Quattro gli affondi decisivi del montenegrino contro i biancocelesti: tre messi a segno con la casacca del Lecce in una sola gara (primo maggio 2005, i salentini battono la Lazio 5-3) e l’altro realizzato con la maglia della Roma (31/10/2007, Mirko e compagni si impongono per 3-2). Quando Vucinic segna alla Lazio, la sua squadra vince. E’ un dato di fatto che trova conferma nella realtà ma, a saperci leggere, è scritto tra i taccuini dell’eternità. Riuscire a vederle al momento opportuno, certe cose, uno potrebbe mettersi anche lì buono. Che tanto, arrivano da sole. Perchè, chissà quante volte Mirko Vucinic deve averlo immortalato, quell’attimo.
IL MONTENEGRO, MIRKO VUCINIC. Un giorno. Poi l’altro. Poi l’altro ancora. Il momento in cui il giallorosso di una giornata che apre varchi alla notte divora il biancazzurro marino visibile nelle ore di luce intensa. Magari Vucinic ci aveva anche fantasticato sopra, perso in quei tramonti del Montenegro messo lì a margine di una penisola soggezionata dalla maestosità del mondo intero, ma s’era intimorito al solo pensiero di un destino tanto imponente. Comprensibilissimo: è che loro sono così. Sembrano timidi. Mirko Vucinic. Il Montenegro.