Adriano sta per tornare a Roma dopo le vacanze in Brasile, Francesco Totti sta per rimpatriare dal relax americano e la tifoseria giallorossa non vede l’ora di vederli muovere i primi passi da compagni di squadra nella Roma. Sarà la coppia d’attacco capitolina del prossimo anno e, in virtù di un auspicio che si spera possa essere dei migliori, Il Romanista ha provato a riproporre il rendimento dei binomi storici visti nella Capitale. Testuale:
Totti e Adriano insieme? L’idea di vederli insieme nel prossimo campionato impone una riflessione sulle grandi coppie offensive della storia della Roma. Una discussione che si può affrontare da diversi punti di vista, ovviamente da quello tecnico-tattico, ma anche da uno più squisitamente umano e irrazionale. Il gol nasce da un’intuizione, da un istinto che trova radici nelle storie degli uomini che sono chiamati a vestire una maglia. A volte la classe, le vicende, le frenesie e i caratteri di questi fuoriclasse si sono incontrate generando un’intesa impossibile da programmare a tavolino. In una carrellata che non ha nulla di cronologico, il primo esempio che mi viene alla mente è quello della strana coppia De Sisti–Prati.
Strana coppia in quanto nella Roma che conquistò il terzo posto nella stagione 74/75, affidandosi a un metro puramente “tattico”, la vera spalla di Pierino era Domenico Penzo, destinato ad aprire gli spazi in cui “la Peste” avrebbe dovuto colpire. Alla resa dei conti, però, nella ragnatela del Barone, il perno che leggeva gli spazi e chiamava al tiro Prati era Picchio De Sisti. Prati, il centravanti, il bomber di quella squadra era nato per esaltarsi nella capitale. Che si sarebbe innamorato della città e della squadra era scritto nei suoi cromosomi. La “Peste”, figlio di un operaio tranciatore della “Breda”, era originario di Cinisello Balsamo e quello che significava, cercò di spiegarlo in una giornata del febbraio 1977: «Dalle parti dove sono nato, la vita si “fatica” in un modo incredibile. Guardi in alto, e non vedi che le ciminiere degli stabilimenti, grigi termometri, e il loro fumo. Cinisello è un posto dove, ancora oggi, alle sette di mattina vedi lunghe file di operai in bicicletta che, con il cestino della colazione legato dietro la sella, vanno a lavorare. Il calcio mi ha permesso di liberarmi da tutto questo: mi ha regalato gli alberi, il cielo pulito e la possibilità di far vivere bene i miei figli». Se il calcio era stato il portone d’ingresso verso una vita migliore, la chiave di quel portone, per un segno del destino era stato Nils Liedholm. A Cinisello Prati aveva infatti conosciuto Maldera e Santin che gli avevano procurato un provino per le giovanili del Milan che nei primi anni ’60 erano dirette proprio dal tecnico svedese. A Roma, Prati ritrovò il suo primo maestro assieme al cielo pulito e agli alberi più belli che avesse mai visto e alle geometrie perfette di Giancarlo De Sisti. Se Prati aveva “scoperto” Roma innamorandosene, Picchio l’aveva ostinatamente rivoluta rinunciando alla corte dell’Inter. Da bambino aveva iniziato a giocare in parrocchia, al Quadraro e la maglia giallorossa era sempre stata il suo sogno. Non appena entrato in squadra, quando era ancora un ragazzino guizzante, Schiaffino gli aveva detto di non guardare mai il pallone e De Sisti, con una carriera a testa alta, aveva appreso bene la lezione. Leggeva il gioco prima degli altri, non aveva gelosie e pensava solo al bene della squadra. Lancio di De Sisti, dunque, e gol di Prati: una volta registratolo andiamo avanti. La coppia gol più pura e prolifica della nostra storia è stata di gran lunga quella costituita da Roberto Pruzzo e Bruno Conti, tanto è stato scritto su di loro che preferiamo riportare alla mente quella costituita da Fasanelli e Volk. E’ la prima incarnazione di un modello, quello dello sfondareti di potenza affiancato da una spalla veloce, che avrà infinite repliche. Nato nella Romulea, Cesare Augusto Fasanelli era un romano atipico, riservato, che aveva lo spunto vincente nella velocità e in un micidiale colpo di testa. A completarlo, nel settembre del 1928 arrivò Rodolfo Volk. Per certi versi un giocatore irripetibile nella storia del club. Volk in una parola era l’essenzialità. Non una concessione allo spettacolo, non un fraseggio, non uno spunto di classe. Lasciava questo mondo che gli era alieno, sconosciuto, a Bernardini a Costantino, allo stesso Fasanelli. Per lui esistevano solo i gol, fatti di una potenza rabbiosa, impressionante. I suoi tiri, quando non andavano a bersaglio scheggiavano il legno delle tribune di Testaccio. Con “Cesaretto”, “Sciabbolone” s’intendeva a meraviglia, era un dialogo fatto di silenzi e di una grandine di gol. L’ultima coppia che mi piace ricordare è una coppia “incompiuta”, che conserva intatto il fascino del rimpianto. Nella stagione 61/62, il duo Manfredini-Schiaffino, stava per regalare lo scudetto alla Roma. Gli infortuni spezzarono quel sogno. Pedro era il centravanti che aveva scoperto Roma nei cinema di Mendoza e che a Roma era arrivato dopo che il campione automobilistico Fangio lo aveva messo in guardia: «In Italia le difese non sono come le nostre». Pedro era il giocatore tutto furore, velocità e istinto. L’attaccante che confessava di accorgersi dei propri gol grazie al boato del pubblico, grazie a un cordone ombelicale nutrito dall’istinto. Schiaffino, viceversa era la classe assoluta filtrata da un distacco regale. Se Manfredini era la sciabola, Schiaffino era il fioretto… un fioretto a cui, però, non mancava la potenza, esattamente come Manfredini non era privo di colpi che lasciavano senza fiato, di giocate strabilianti e imprevedibili. Insomma la storia dimostra che una ricetta vincente non esiste, la chimica delicata e misteriosa si accende guidata da un’energia interna alimentata dall’entusiasmo, dalla passione, dalla classe.