Da La Repubblica:
Hanno difficoltà in parlamento, le donne, figuriamoci allo stadio. Raccomandata, incapace, inadeguata, stupida. Glielo hanno urlato dietro tutto intero, il campionario classico del maschilismo più retrivo. Ma adesso che Rosella è in testa alla classifica, da sola, prima donna nella storia del pallone, con la sua Roma mai così amata e ammirata, a villa Pacelli — quartier generale storico della famiglia Sensi — si sente solo l’eco ipocrita degli applausi. Un rumore di fondo sparato ad altissimo volume che sovrasta il «Roma Roma Roma» di Antonello Venditti e che allontana e scolora i ricordi di quell’epoca recente in cui tutti i giornali, radio e tifosi facevano i conti in tasca a quello che restava dell’impero costruito da Franco Sensi, macerie fumanti di hotel e piattaforme petrolifere circondate da sciacalli, avvoltoi, compratori vari e banche. «Rosella bla bla bla», «Rosella vattene», ripetevano gli striscioni della curva Sud nemmeno sei mesi fa.
E forse avevano anche ragione: qualunque osservatore di buon senso, allora come oggi, sarebbe d’accordo nel sostenere la necessità di una immediata cessione della società. I Sensi non hanno più i numeri, i soldi e la forza politica per gestire un club di serie A. Ma, allora, se avevano ragione i tifosi che volevano che Rosella passasse la mano, come si spiega questa situazione, questo primato?La risposta è semplice: con la passione. Una passione primordiale e potente, ereditata dall’amatissimo padre Franco, qualcosa di talmente puro da rasentare il naïf. Come quella volta in cui pur di tenere in mano la squadra, Rosella disse di no all’offerta di un incredulo George Soros che era disposto a pagare il marchio «Roma calcio» tre volte il suo reale valore. Avrebbe risolto i problemi di un paio di generazioni di Sensi, quella proposta. Ma lei prima disse di no e poi con la stampa — ma anche a casa — si giustificò così: «Cedere la Roma? Solo a qualcuno che dimostrasse lo stesso insano amore di mio padre: nessuno la ama quanto lui». Nessuno, a parte lei, Rosella. Rosella che i lì in avanti resiste a tutto, alle bombe carta, agli insulti, (particolarmente sgradevoli quando era incinta), alle minacce sotto casa, alle lacrime della madre, all’immagine di un impero che giorno dopo giorno tramonta e si sgretola sotto i colpi dei creditori. Rosella che piange in diretta senza vergogna, che fuma nevrotica in tribuna vip, che non riesce a guardare quando batte i rigori Totti («Mio fratello maschio, diceva papà»). Rosella che alla fine fissa la telecamera e ripete: «Nessuno ama la Roma quanto mio padre, per tenerla ha sacrificato metà delle sue ricchezze». Nessuno a parte lei, che per onorare la memoria di quell’«insano amore» e portare la sua Roma così in alto è stata disposta a sacrificare tutto.