Francesco Totti e Mirko Vucinic di qua. Di là, Antonio Cassano e Giampaolo Pazzini. Roma-Sampdoria è gara di vertice e cartello, match clou della 35a giornata di serie A con gli onori del posticipo. Quel che per i giallorossi è un obiettivo conseguito (la Champions League), per i blucerchiati ha le sembianze di uno scudetto. Quello vero, in realtà, se lo giocano i giallorossi che, forti del minimo vantaggio sull’Inter, non possono sbagliare. Si dice che per capitolini, sia il crocevia per raggiungere il tricolore. La verità è che, da qui alla fine, lo si dirà alla vigilia di ogni maledetta domenica. Perchè, senza scomodare Al Pacino, ciascuna delle gare che separano da qui alla conclusione del campionato, per la Roma (e per la Samp) non sarà altro che dolore e sofferenza. Crampi allo stomaco e imprecazioni che in un lampo faranno il percorso cervello-bocca.
DICONO I NUMERI. La squadra di Ranieri non perde da 24 partite in campionato (18 vittorie e 6 pareggi), è reduce da 6 vittorie consecutive, in casa ha vinto 12 degli ultimi 13 incontri. La Sampdoria ha vinto le ultime 3 partite in campionato ma fuori casa ha concesso 29 gol e conquistato solo 5 vittorie in questa stagione. I Blucerchiati non sono riusciti a segnare in 5 delle 6 partite contro la Roma e non vincono all’Olimpico dal 1996.
RANIERI. Per il testaccino, o per i tifosi, ancora qualche ora a gozzovigliare con i dubbi della vigilia: Ranieri decide sempre all’ultimo (ma a quanto pare, ha le idee chiare fin dall’inizio della settimana) per favorire la tensione agonistica viva in ciascun componente della rosa ma – come ogni volta – a leggere tra le righe, la formazione capitolina è già fatta. Francesco Totti dovrebbe tornare a vestire i panni dell’unica punta, alle sue spalle il trittico composto da Mirko Vucinic, Rodrigo Taddei e uno tra Perrotta e Menez (il francese sembra in vantaggio, lo dice la forma strabiliante delle ultime occasioni). David Pizarro, anzitempo negli spogliatoi nel corso dell’ultimo allenamento per un fastidio al ginocchio, non desta preoccupazioni. Per il resto, gli uomini che hanno cavalcato l’Aquila saranno quelli chiamati a spegnere la pipa del marinaio che campeggia in primo piano sul logo blucerchiato.
DELNERI. Gigi l’ex, oscurato in questo suo brevilineo passato giallorosso (cinque mesi piuttosto anonimi) solo dalla concomitante comparsa a Roma di FantAntonio, ha l’imbarazzo della scelta: gli mancano solo Gianluca Pozzi e Luca Castellazzi oltre a Pietro Accardi. Dovrebbe dare seguito al 4-4-2 con cui i doriani si son presi beffa – ultimi di una serie da averne qualche preoccupazione – del Milan di Leonardo. Semioli, Palombo, Poli, Guberti (mezzo portafoglio blucerchiato, il suo, e mezzo capitolino) in mediana a supportare i due amanti. Pazzini e Cassano, determinati nel tentare di ripercorrere le gesta di Luca Vialli e Roberto Mancini. Lo facessero, vien da dire, da settimana l’altra.
IL GOL. Sta scritto nel regolamento del calcio che nessuno ti insegna mai ma che si impara da bambini e non si dimentica più. A meno che di nome non fai Darko Pancev e, da un certo momento in avanti, vivi la vita come fossi Benjamin Button, andando a ritroso e disimparando tutto. Il gol. Nient’altro, per vincere le partite. E’ solo così che la musica cresce di livello e consente di cullarti in maniera dolce e vigorosa a un tempo solo. E’ così che l’assolo determina l’intensità della melodia. E lo spartito di una partita di calcio diventa la stesura di un brano classico. Dalla classica si sono dettagliati tutti gli altri generi musicali, dal gol acquista motivo d’essere una gara di pallone. Allora, se nel concerto di domenica sia Ranieri che Delneri possono affidarsi a una doppia coppia che intende il calcio come lo si concepisce da adolescenti, ai due tecnici non resta che il gusto di mettersi lì e godere della direzione di un’orchestra che – volente o nolente – suona solo per quell’attimo. L’assolo, il gol, il ritmo che prorompe, le vibrazioni che sfiancano.
TOTTI. Il Capitano, di rimando. Unico, lui e basta. Il talento di Totti è lo stesso di Beethoven: questi, sordo, sembrava sentire le note in maniera inimitabile; quello, zoppo, castiga come un portatore esclusivo di integrità fisica. Diciannove presenze in campionato, quest’anno, di cui 17 dal primo minuto per un minutaggio complessivo nelle gambe di 1439 volte che la lancetta ha girato su se stessa. Dieci reti, una ogni 144 minuti: 9 le ha infilate di destro, una sola di sinistro. Quattro rigori e una punizione a segno su un totale di 35 tiri (18 nello specchio e 17 fuori). Precisione in fase di conclusione pari al 51%, una chance di trasformazione che scende al 29 per cento ma anche 5 assist, 35 passaggi chiave su un totale di 596 palloni giocati (il 73 per cento dei quali, a buon fine).
VUCINIC. Fatelo suonare, passategli il pallone. Perchè Mirko, per come sta, può solo impressionare. Ha provato a inserirlo nell’orchestra – Ranieri – ma dopo un po’ s’è dovuto pure rassegnare. A dargli carta bianca. Perchè lì, il solista, era sacrificato. E, come lo scalda lui – di questi tempi – il cuore della platea, ci riescono solo in due o tre. Uno si chiama Messi, sta a Barcellona. Il bomber gialorosso ha all’attivo una stagione da incorniciare: 31 presenze, 29 delle quali dal primo minuto di gioco per 2325 minuti giocati. Tredici reti pari a una ogni 179′: due volte a segno di testa, le altre undici tutte di destro (due rigori e una punizione vincente). Settanta tiri complessivi, 33 nello specchio della porta e 37 fuori per una precisione di tiro pari al 47%. A scavare nei numeri del montenegrino, ancora, ci si trovano 5 assist, 51 passaggi chiave per un totale di 698 palloni giocati (percentuale utile, 72%). Piazza anche più di 4 dribbling a partita (126 quelli complessivi), il satanasso della Roma.
CASSANO. Genio e sregolatezza, certo, ma anche un contenitore di sensi di inferiorità e superiorità in seguito ai quali – il barese purosangue – ha deciso un bel giorno di fare le valigie e allontanarsi da Roma. Era il gennaio del 2006. Da allora, la Capitale ha optato per cancelllare il pregresso e quelle sinfonie a sprazzi con cui Cassano era riuscito a mettere le ali alle passioni del tifo capitolino, a un certo punto, il popolo giallorosso – dopo averle incise su compact disc – le ha smagnetizzate. FantAntonio s’è voluto andare a prendere il posto da solista ma gli è successo il contrario. L’hanno piazzato tra uno dei seggiolini liberi in mezzo al coro fino a quando – anche lì – non c’è stato più posto. Ha dovuto lavorare su se stesso, ripartire da capo, andare a scoprire che anche il talento, senza basi di teoria, rischia di creare solo il rumore più fastidioso. Così facendo, è tornato a comporre con le fattezze del Campione. Alla Samp, quest’anno, concretezza e maturazione. Crescita calcistica e personale. 28 presenze complessive, 26 dal primo minuto per 2363 minuti giocati: 8 reti, per lui, con una media di una ogni 295 minuti. Del totale, 1 rete di testa e sette di destro (un rigore). 50 tiri complessivi, di cui 29 in porta e 21 fuori dallo specchio (precisione pari al 58%, chance di trasformazione del 16 per cento). Sette assist vincenti, 56 passaggi chiave e 941 passaggi totali, il 70 per cento dei quali andato a buon fine. Anche per Cassano, i 124 dribbling corrispondono a una media di più di 4 a partita.
PAZZINI. Il Pazzo. Per sintetizzare ma anche perchè, gira gira, occorre una buona dose di follia per mettere il piede anche nei contrasti più delicati. Per buttare la faccia in mezzo a mischie che fanno paura solo a pensarle. E’ l’udito sopraffino – quello che senti la porta avversaria che canta solo per te – che consente tali eccessi di istintività. Che sono, a conti fatti, solo la palese lucidità di chi la musica ce l’ha nel sangue. Il gol, tra i piedi. Sta suonando alla grande anche Pazzini: 33 presenze, tutte dal primo minuto, per 2884 minuti disputati. 15 le marcature finora realizzate, una ogni 192 minuti. 5 griffe di testa, 8 di destro (2 rigori), 2 di sinistro. 55 tiri totali, 30 in porta e 25 che l’hanno solo sfiorata (una precisione del 55%, una chance di trasformazione del 27%). Anche 2 assist, per il doriano, 19 passaggi chiave, 599 passaggi totali (il 70% dei quali, riusciti). Non dribbla tanto, il Pazzo (26 da inizio anno, meno di uno a partita): aspetta semmai che gli si depositi tra gli scarpini il pallone da infilare nel sacco.
QUARTETTO D’ARCHI. Metti una sera all’Olimpico, sull’erba di un campo che si preannuncia bagnato dal piovischio. Pupone, Genio, FantAntonio, Pazzo. Poi, provate a lasciarli fare. A un certo punto, l’assolo viene fuori da solo. E tu – ipotetico uditore – senti un fremito che è come sangue nuovo che ti circola in corpo. A occhi chiusi, un istante del genere, lo si introietta ancora meglio. Per sempre. Che assistere a una partita senza guardare, direbbe qualcuno, quale significato può mai avere. Invece no, col quartetto d’archi in mezzo al campo, vedrete pure che ne sarà valsa la pena. Tanto poi, quando vi rimettete a guardare, per una domenica – maledetta domenica a venire – potrete vedere solo un paio di scene. O la simulazione di una gravidanza. O il dito a ciuccio. Con buona pace, stavolta almeno, del ‘guarda che ho fatto’ di Pazzini e dei baci spediti in missiva aerea da Cassano.