ROMA-SAMPDORIA. I festeggiamenti in casa blucerchiata si sono sovrapposti all’applauso dell’Olimpico nei confronti della Roma: mentre Francesco Totti e compagni si lasciavano stringere nell’abbraccio ideale della curva Sud, i doriani sono corsi sotto lo spicchio di Nord nel quale erano assiepate le poche centinaia di ultras della Sampdoria. Un atto dovuto, anche in virtù della conservazione del quarto posto, che lascia coltivare pensieri d’Europa che conta (la piazza a ridosso delle prime tre dà di diritto l’opportunità di partecipare ai preliminari di Champions League) e di un’impresa mica da ridere, considerato il fatto che i capitolini venivano da una striscia utile in campionato di 25 gare. In concomitanza alla gioia blucerchiata, tuttavia, si stava consumando l’attimo di grande amarezza in casa romanista: l’Inter lontana due punti, una sconfitta forse decisiva per frantumare il sogno dello scudetto coltivato (almeno) fino alla quartultima e il dispiacere di aver perduto una partita che i capitolini – lo si dice sempre in questi casi – non perderebbero mai più. Se solo si potesse rigiocare. L’Olimpico è stato in quegli istanti un ossimoro:
il silenzio dell’anima in contrapposizione alla tributo canoro, lo sguardo perso nel vuoto a fare da contrappeso alle bandiere gialle e rosse che hanno sventolato ben oltre il triplice fischio, il pianto di Philippe Mexes – che ha assistito al match dalla panchina – e il lungo abbraccio di Cassano a Totti. In prossimità del cerchio di centrocampo.
SIGNORI E NON. C’è stata polemica per come i doriani, seppur nel mezzo di una festa legittima, abbiano “dimenticato” d’essere stati (forse) giudici indiretti di uno scudetto che la Roma si è vista (forse) sfilare a tre gare dalla conclusione. Polemica per la mancanza di rispetto di un istante sportivamente importante e figlio (anche) di decisioni arbitrali discutibili. Polemica non tanto per i gavettoni di Antonio Cassano che, nello spogliatoio della Samp ha innaffiato anchel’Amministratore Delegato Beppe Marotta ma per quella frase di Franco Semioli che, nel tunnel che porta dal terreno di gioco agli spogliatoi, s’è messo a ripetere “Forza Inter”. Ecco, una stonatura così macchia non solo il dopo gara ma intorpidisce l’impresa stessa dei doriani (o di alcuni di essi) a cui non è mancata l’occasione per ribadire il concetto. Non di soli Campioni, vive il calcio; non di soli Signori è circondato il pianeta. La Capitale, in tal senso, è un porto di mare dove sbarcano milioni di persone ogni anno, centinaia di giocatori per ciascuna stagione. Non s’è fatta selezione, nè si farà stavolta. Ma nel viavai inevitabile, Roma lo sa bene. Ci sono anche quelli che Campioni non lo saranno mai. Signori, men che meno.
Fakko 27 Aprile 2010 il 17:15
Cioe ma scusate che differenza c’è tra i pollici di totti e quanto detto da semioli?? è comunque un’umiliazione per gli avversari… quindi Totti è un signore e semioli no…. mi piace come ragionamento