…dentro la Roma, Ostia; e dentro Ostia, il mare di Daniele De Rossi

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 Il mare è un pluricefalo con una miriade di ciuffi, un raccordo che fa da congiunzione tra “desiderata” e vita vissuta, un campo sterrato dove i pesci improvvisano i fuochi d’artificio.
Finiscono amori a primavera; si consumano passioni di paglia, d’estate. In autunno c’è malinconia, d’inverno la finestra che s’affaccia al mare è una cinepresa. E quello – il mare – un fermo immagine.
Ostia è terraferma, sta nell’involucro di Roma per volontà popolare. Ha conosciuto un’espansione lenta, parallela a quella della ferrovia. Con gli anni ha consolidato la propria vocazione a meta turistica e quando arriva la bella stagione – Ostia – raddoppia gli abitanti.
Il mare a Ostia sa di peschereccio e incanto. Dà da mangiare e toglie appetito. Imprime su mani da fatica i segni evidenti dello sforzo ma poi scolpisce anche nella mente post-it di tradizione e cultura locale che sono come calli che non vanno via nemmeno a strofinarli con la pietra pomice. Sussurra una marcia trionfalistica alla vita e spalanca i portoni del pericolo.
Stanno lì a fare tutt’uno ma, tra il mare e Ostia – certe volte – ci passa l’infinita distanza che separa il sogno dalla realtà. Percorrere quei chilometri illimitati che si frappongono tra il muretto del lungomare Duca degli Abruzzi e il brillio delle stelle ammucchiate in cielo, senza lasciarci l’impronta della scarpa, è impossibile.
Passi lenti e passi veloci. In ogni caso, orme. Messe lì a segnare la via, dare continuità alla storia.
 Dev’essere pressappoco così che Daniele De Rossi s’è fatto grande. Il culo saldamente appoggiato al terreno, lo sguardo incondizionatamente proiettato nell’immensità dei proponimenti.
Il mare di Ostia, ci sono momenti che ulula. E quando accade, il resto – tutto il resto, intendo – non esiste più.
Il mare di Ostia. Ci sono volte che suona stornelli. E se per caso o necessità ti trovi a passare di lì – in quel frangente, per quei minuti – puoi solo chiudere gli occhi. E stare a sentire, come Omero. Che, in realtà, l’ispirazione divina invocata dal poeta era la natura intorno. Un fruscio d’erba, legno su legno, il movimento dei flutti.
Il mare, adesso, è una femmina.
Ostia, in questo preciso istante, risplende di luce propria.
Una storia.
E’ la sera, che si presta. Ha i colori di un pallone che rotola. E rotola. E rotola.
C’è il blues del mare di Ostia, lo scherzo di una raucedine che va e viene con i capricci del tempo e le tonalità in bianco e nero che richiamano alla memoria un calcio d’altri tempi.
Prendi la sabbia in un pugno, a volte, e la getti davanti: decide il vento.
E in casa De Rossi, il 24 luglio del 1983, spirò una folata giallorossa a impregnare quei 6 chilometri di lungomare. Fiocco azzurro, nasce Daniele.
Passi lenti.
 Ovvero, quelli di una costola di Roma che ci arrivi così. Senza renderti conto. Volti la testa, dai un’accelerata e ti metti alle spalle mostri di cemento che risalgono all’urbanizzazione degli anni ’80. Resistono le industrie, in questo segmento di Capitale che pare con un piede sull’uscio della modernità e con l’altro inchiodato in una pozzanghera di fango e detriti. I cantieri navali del Porto Turistico si mischiano a una fabbrica di materassi, la Torre di San Michele sovrasta per altezza ma non giganteggia più da un pezzo. Ti volti a destra e sembra che funzioni tutto ma manchi qualcosa, giri il collo a sinistra e c’è quel che serve. Ma non funziona niente. Il rettilineo che costeggia il mare è triste, come certe reti vuote dei pescatori. Poi, nell’intercedere, mentre credi di proseguire verso il nulla; accade così. Che scopri di tutto. I panni bagnati, una lattina in bilico, un cane che non capisci se s’è perso o si sta ritrovando, le rovine di una Storia immensa, le macerie di cemento che non bastano ad affossare la dignità. Perché di dignità ce n’è da vendere. La pagassero tot al chilo, Ostia sarebbe Las Vegas.
Invece, è accaduto solo che qualcuno si sia riempito la pancia. In tre, quattro al massimo. E a conti fatti, il richiamo a un fiore appassito la fa somigliare – Ostia – a un volto che sorride solo a volte.
Passi veloci.
 Ovvero, quelli di un frammento della costola di Roma che s’adagia sul Mediterraneo. Per i romani è il Capitan Futuro della Roma, per gli italiani è la prossima bandiera del calcio nostrano, per tutti è uno degli ultimi esemplari rimasti di calciatore capace di incarnare qualità e quantità, ferro e fosforo, estro e tecnica. Il tutto a 27 anni, l’età della maturità calcistica. Daniele De Rossi da Ostia ha già un palmares di tutto rispetto: In Italia, 2 Coppe Italia e 1 Supercoppa Italiana; con la Nazionale è già campione del mondo sotto il cielo di Berlino nel 2006 ma può vantare anche un bronzo olimpico (Atene 2004) e un Campionato Europeo Under 21 (Germania 2004). De Rossi è stato anche impalmato per due volte con l’Oscar del Calcio (prima, miglior giovane; poi, miglior calciatore del campionato) a ulteriore riprova del suo valore. Ma sono soprattutto i numeri raccolti in casa giallorossa a mostrare una continuità che pochi altri possono vantare nella nostra Serie A. 218 gare in campionato condite da 27 reti nell’arco di otto stagioni. Nello stesso periodo 55 presenze e 7 gol nelle coppe europee e 37 presenze con 4 gol in coppa Italia. Un ruolino di marcia di tutto rispetto per quello che dovrebbe essere sulla carta un mediano. In Nazionale, invece, il romanista ha scelto la qualità: 8 reti di cui le ultime quattro di importanza capitale (gol contro la Francia agli ultimi Europei; doppietta contro la Georgia in un delicato match delle qualificazioni al Mondiale, sigillo sul 3-1 dell’Italia sugli Usa all’ultima Confederations’ Cup) in 75 caps complessivi tra Nazionale A ed Under 21.
Messo in archivio il campionato 2009/10, De Rossi è reduce da una stagione esaltante dal punto di vista statistico: 33 presenze in campionato, 2.825’ e 7 gol; 12 in Europa League, 1.035’ e 3 gol; 4 in coppa Italia, 360’ e un gol; 4 in nazionale e 250’. Il totale dice: 53 partite, 4.470’ giocati e 11 gol. In mezzo c’è stata anche la frattura allo zigomo in seguito alla gomitata di Patrick Vieira in Inter-Roma dell’8 novembre 2009 e il problema renale che si trascina da un po’.
 Roba da pensare a una delle migliori annate di Capitan Futuro.
E invece.
Passi lenti.
A leggere le dinamiche di un campionato amaro e splendido, non è così. Qualcosa è mancato, in alcuni momenti i meccanismi si sono inceppati e il centrocampista di Ostia ha mostrato uno scarso rendimento. Emblematica, in tal senso, la sostituzione alla fine del primo tempo di Lazio-Roma, quando Claudio Ranieri ebbe il coraggio di sostituire i due più attesi – Francesco Totti e, appunto, Daniele De Rossi – per andare a vincere il secondo derby stagionale (su due). Il finale di campionato del centrale è stato in calo costante. Forma e concentrazione, non è stato il De Rossi dei tempi d’oro. Almeno fino alla gara di Verona.
Di nuovo lui.
Che lì, sì, uno più decisivo del prossimo Capitano giallorosso non c’è stato. Un gol, corsa e qualità. La squadra presa per mano, quasi a voler ripagare i tifosi e sdebitarsi per le recenti debacle. Un De Rossi formato Mondiale – quello di Verona – è uno dei – pochi, in verità – pensieri che rasserenano in vista del Sud Africa. Marcello Lippi, nell’assemblare le pre-convocazioni che porteranno alla rosa definitiva con cui la Nazionale difenderà il titolo del Mondo conquistato nel 2006, ha dimenticato di fare un giro per Roma. Ha scordato tutti a casa – ops, Perrotta; ops, Totti; ops, Cassetti – meno Daniele nostro. Non avrebbe potuto: non solo perché in quel ruolo, la Juventus, di italiani non ne ha (Felipe Melo, Sissoko) e quelli che ha sono stati pure convocati (Marchisio) ma anche per il fatto che – in quel ruolo – migliori di Capitan Futuro non ce n’è in tutta Europa. Mica per niente il Real Madrid mette 40 milioni di euro sul piatto; mica per altro il Manchester City rilancia con 45.
 Vado via solo se l’alternativa è il fallimento della società”.
Daniele De Rossi, da Ostia.
Ostia.
Che toglie e regala. E se, da un lato e per discutibile amministrazione della cosa pubblica, sottrae qualche strumento per mettere ciascuno nelle condizioni di realizzare i propri sogni, dall’altro fa dono di un dettaglio che sarebbe impossibile da comprare anche per gli sceicchi di mezzo mondo.
Il senso di appartenenza. L’identità. La fedeltà.
Che non ha prezzo. E con cui l’individuo sopperisce alle carenze istituzionali.
Allora, per De Rossi – primo tifoso giallorosso – quelle tonnellate di denaro vengono dopo. Parecchio dopo.
Prima ci sta la Roma; e dentro la Roma, Ostia; e dentro Ostia, il mare; e dentro il mare, il lungomare Duca degli Abruzzi. Che da lì, certe volte, lo senti che ulula. Il mare.
E dentro il mare, la Lupa. Per volontà popolare.
Passi veloci e passi lenti. In ogni caso, orme a segnare la via.
Prendi la sabbia in un pugno, a volte, e la getti davanti: decide il vento.
E in casa De Rossi, il 24 luglio del 1983, spirò una folata giallorossa a impregnare quei 6 chilometri di lungomare. Fiocco azzurro, nasce Daniele.
Capitan Futuro.
Un giorno mi piacerebbe indossare la fascia da capitano della Roma. Se penso a quel giorno, però, provo anche un po’ di tristezza perchè vorebbe dire che Francesco ha deciso di smettere“.

Auden Bavaro


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