L’Olimpico sembrava l’Olimpo. E poi ‘sta voglia, ‘st’esiggenza…

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 Ci sta Totti, c’è il sole, la marea. Più blu – il cielo – e l’Olimpico pare l’Olimpo. Ci sta Ranieri, la prole, tutta la gioventù. Sempre fieri, quei volti, e splendidi. Ci sta la curva a seguire il flusso di un pensiero che va in rettilineo, ci sono sinossi su pezzi di carta. Incisi su plastica bianca, ci stanno refusi. Parecchi refusi. La Blasi non c’è, ha mandato Ilary a ricambiare la promessa a Francesco (è vero, Totti c’è e l’ho detto. E’ lei, che vede solo Francè). Totti non si discute… si ama. Con una decina di punti di sospensione e quattro punti esclamativi. Roba che neanche il “6 unica” vale uguale: lei scrive Totti, ma intende Francè. E’ che stavolta, le interessa di più che intendano gli altri: e allora scrive Totti con caratteri rossi e maiuscoli per monologare col mondo intero. Il giocatore, l’uomo, il padre, il marito.  Poi, all’orecchio. Tra quattro mura. In una stanza. Nella penombra. Uno, due, tre, quattro. Respiro. Cinque. Gliel’avrà ridetto. Nel gioco delle parti – Totti è di tutti, non solo quando gioca – Ilary s’è mascherata da tifosa illustre. Con la maglia, la voce per aria, la trepidante attesa di un gol. Ha scritto Totti, ma pensava Francè. C’era il Cagliari; c’è stato lo sport; il destino incrociato di due Conti – Bruno e Daniele – che come li metti metti, non tornano mai. Verde, l’erba, a mischiare ricordi e proponimenti. Le attese, a’ voglia, quante ce n’erano. Julio Sergio, forse, era l’unico che ne avrebbe fatto a meno: 90′ senza aspettare niente e nessuno, da quelle parti, li avrebbe pure passati. Eccome.
Ho solo pensato, per un istante, dove potesse esistere un microcosmo bello alla stessa maniera. Il giallo del sole e il rosso del cuore, che messa così sembra banale. Lo so. In realtà, manco pe’ niente: che solo le cose prive di senso e significato, in fin dei conti (ma mica Bruno, mica Daniele), lo sono per davvero. E quello che ha voluto dire l’ultimo Olimpico stagionale, la metto giù bisbigliando, pare uno Zanichelli di concetti. Banale diventa semplice, davanti all’eternità. E quel che è semplice è grande. Per costruzione.
 E chi l’ha visti, ho risposto a quanti me ne hanno accennato. Ma pare ci siano stati puntelli messi sul campo come punti interrogativi. Qualcuno ha notato passare qualche treno, apparire qualche bagaglio. Non so. Ma Taddei sembrava ancora il figlio di Cupido con quella mano a seguire i movimenti della corsa mentre io me l’immaginavo dentro la maglietta, a simulare un cuore che lo sento battere solo per la Roma. E Mexes. Mexes non ha mai smesso di fare l’uomo in più che trascinava i compagni spingendoli con la mano. Con il fiato. Burdisso, poi. Un ricordo indelebile di ciascuna partita. Che se non avesse fatto il centrale, lui, nella vita sarebbe potuto essere il pilastro dell’elettricità. E quella pertica di Toni. Svita e avvita, svita e avvita. Lo vedevo lì, a legare i reparti, e me l’immaginavo come l’ho sempre inteso. Da che sta nella Capitale. Felice, sereno, uno che lo guardi appena in faccia e capisci al volo. “Dai, che poi si fa baldoria”, sembra lo dica a se stesso. Allora, messa così, che volevi sentire: i treni, se sono passati, non li ho manco visti. E le valigie. Ma de che?
 C’è tutto il futuro che attraversa il presente, certe volte. Anche se quel gol di Lazzari sembrava messo lì apposta a rivivere i fantasmi del passato. Allora Riise, De Rossi, Perrotta, il Capitano, Pizarro, Menez. La Roma di domani. Non lo so. Perchè in ogni seggiolino dell’Olimpico, c’era messo – in piedi, seduto, sdraiato – un singolo ricordo di come è andata quest’anno. E’ per questo – voglio dire – che non lo so. Guardi la classifica e ti vedi sotto due punti, guardi il calendario e ti accorgi che manca solo una partita, guardi l’avversario e ti rendi conto che il Siena è già retrocesso. Eppure, zitto zitto, che magari poi. Metto pure la mano davanti alla bocca a rendere la voce più flebile. E tengo un filo di voce. Ma c’era Totti, e Ranieri, e la marea. C’erano Ilary, e Mexes, e uno striscione lungo quanto la curva Sud. A conti fatti, per mettere a freno la voglia che m’è rimasta di fare… Penso siano superfuli il Chievo e il Siena. E’ superfluo l’Inter e poco utile pure la graduatoria. Il commiato di calciatori nei quali mi sono incarnato, la condivisione di migliaia di tifosi che lo sapevi già prima che Bergonzi fischiasse il calcio d’avvio. Non lo so. Ma ‘sta cosa, ‘sto brivido, ‘sta necessità. Zitto zitto, ma ve lo devo di’. E’ ‘na voglia, ‘n’esigenza. De fa’ festa, a prescinde’.


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