Tutto il Brasile di Roma-Milan

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 Due filiali del calcio carioca: Roma e Milan, almeno nella decisione di puntare forte su una fitta schiera di brasiliani, si somigliano parecchio. A far la conta, undici calciatori e un allenatore con nascita nello stato sudamericano. Da La Gazzetta dello Sport:

Bianchi e neri. Carioca, paulisti, gaùchos. Poveri o benestanti, prima di arricchirsi col calcio. Cresciuti nelle favelas o in quartieri borghesi. Più o meno religiosi, più o meno intelligenti, più o meno colti. Ragazzi di buona famiglia, tutti casa e campo, oppure viveur. Di sinistra e di destra, progressisti e conservatori. Romanisti e milanisti, ovvio. Comunque, tutti brasiliani, anche se non tutti da Seleçao (incredibilmente, qui Roma batte Milan 3-2). Sono dodici, undici calciatori e un allenatore. Non saranno tutti visibili stasera. Di Pato e dei suoi dolori si sa. Mancini — l’ultimo transitato sulla Roma-Milano, prima di lui il grandissimo Cafu— già pregustava il grande ritorno all’Olimpico, addirittura da titolare, con la speranza di ritrovare l’ispirazione là dove l’aveva persa. Niente, Leonardo gli ha negato la trasferta e il Mancio ha disfatto il trolley. Triste.

Di Artur, invece, si sono proprio perse le tracce: qualche avvistamento in allenamento, qualche presenza in tribuna, e niente più. Sono lontani i tempi in cui Spalletti lo preferiva a Julio Sergio, semplicemente perché «più alto». In panchina I dieci che vedremo, dunque. Per rispetto delle gerarchie, partiamo dall’allenatore. «Il Direttore…», così lo chiamaJuan, che ci ha giocato insieme al Flamengo. Bel personaggio questo Leonardo: calciatore dall’intelligenza viva, allenatore coraggioso, comunicatore brillante. Senza gli isterismi di Mourinho, sa farsi rispettare, anche da Berlusconi. Parla quattro lingue (pure il giapponese), legge, ed è passato dalla Bocconi per un corso di marketing. In campo Eccoci ai nostri eroi. Davvero un gruppo eterogeneo. Ronaldinho ha quell’aria da mattacchione sempre in vena di battute, uno che ti svolta la serata, sa anche suonare e gli piace ballare. Pure Baptista suona, il cavaquinho, chitarra a cinque corde. E canta e gioca a golf, infatti non si capisce perché lo chiamino la Bestia. Si diceva di Ronaldinho, il brasiliano tipico. E invece, tra una puntata e l’altra in corso Como, è quello che vive più lontano dalla città: se ne sta con la sorella a Galliate Lombardo, nel varesotto, dove va a fare la spesa indisturbato e porta a spasso il cane come uno di noi. Juan, che gli si opporrà in campo, è invece esattamente come sembra: musone, introverso, di pochissime parole (e oltretutto, come il suo maestro Aldair, incomprensibili). Eppure, è nato e cresciuto nella travolgente Rio. Una volta si definì un «figlio del popolo», è un grande estimatore di Lula. Al contrario di Doni, che attualmente è caduto in disgrazia, un conservatore vecchio stampo, terrorizzato dalla criminalità, politicamente a destra. Forse in Italia voterebbe Lega. Pato, il grande assente, è un bimbo e non ha ancora coscienza politica, tutto preso dall’amore per Stephany. Prima di sposarla, usciva tutte le sere con il figlio di Cafu. Tra i titolari, da segnalare anche la serietà di Julio Sergio, l’intellettuale del gruppo, la discrezione di Thiago Silva, 25 anni e già un figlio («Non mi piace ballare, non mi piace suonare», giura), lo stakanovismo di Taddei, il più europeo dei brasiliani. Lui davvero tutto casa e campo.


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