Il principale responsabile di una difesa ballerina, neanche a dirlo, si è ritrovato a essere proprio colui che i maligni chiamano “La Ballerina”. Perchè è bello ed elegante anche sul terreno di gioco. Inutile fare finta di no: in questo inizio di campionato, la vita calcistica di Philippe Mexes ha virato improvvisamente: da fenomeno a brocco, da indispensabile a panchinaro di lusso.
Nel corso del mercato estivo, si è fatto a gara – tifosi, dirigenti, compagni di squadra – per convincerlo a restare, lui che di offerte e di contratti ne aveva pronti a volontà. Il Milan, il Chelsea, il mercato spagnolo e quello francese. Carlo Ancelotti, suo grande estimatore, avrebbe fatto carte false pur di averlo in Inghilterra. Mexes ha deciso di restare con l’obiettivo di riscattare il fallimento dello scorso anno.
Non solo, certo, ma anche una questione di onore. Di dignità. Un percorso da vivere insieme all’allenatore preferito, Luciano Spalletti. Mai avrebbe immaginato, Mexes, un avvio tanto disastroso e le dimissioni del tecnico toscano: un incubo. Sei reti prese nelle prime due giornate: l’approdo di Claudio Ranieri determina un lavoro certosino rispetto alla fase difensiva e Philippe Mexes è tra i primi a pagare la scarsa forma con l’esclusione dall’11 titolare. Lui che avrebbe voluto prendere per mano la Roma.
Come fanno Francesco Totti e Daniele De Rossi. Mexes che si era proposto quale riferimento di retroguardia, parte dell’ossatura irrinunciabile. Ranieri ci ha rinunciato eccome. Anzi: ci ha rinunciato e ha inanellato solo risultati utili. Utile, in tal senso, l’intervista rilasciata da calciatore a Il Messaggero in edicola oggi. Le parole del francese aiutano a capire qualcosa in più rispetto al momentaccio del centrale giallorosso. Eccole:
Mexes, che succede?
“Dopo un inizio difficile, ci stiamo…”
Della Roma parliamo dopo.
(sorride) “E’ un momentaccio. Ho pagato, sto pagando”.
Si sente l’unico responsabile?
“No, non direi. Sarò forse il peggiore, ma non può essere tutta colpa mia se prendiamo gol o se abbiamo cominciato male il campionato”.
Quando la Roma non gioca bene, lei dice abbiamo fatto schifo. Ecco, lei sta facendo schifo?
“Schifo a metà. Ho commesso errori, in una squadra che andava male tutta. Non sono il salvatore della patria, non un supereroe. Non mi ritengo l’unico colpevole, non so nemmeno perché a pagare sia stato solo io. Non datemi l’Oscar del peggiore, questo no”.
E ora si ritrova spesso in panchina.
“Già, ma sono sereno e vado avanti per la mia strada”.
Non sembra molto sereno.
“Sono arrabbiato dentro, mi dispiace non giocare, non essere protagonista. Dopo anni belli, non è facile tornare indietro. Passerà. Questa rabbia mi sarà utile”.
Burdisso cosa ha più di lei?
“Lui gioca, io non molto. Però lui è un bravo calciatore”.
Che le ha detto Ranieri quando è arrivato?
“Che vuole rivedermi ad alti livelli, che punta su di me, che vuole farmi riconquistare la nazionale. Tante belle cose…”.
Ogni tanto ripensa ai dribbling di Maccarone e Diego?
“Due grandi gol, complimenti a loro. Ma che potevo fare? Ci sta che si perda l’uno contro uno. Ma si ricorda solo quello”.
Quando uno gioca male, tutto è sbagliato: il taglio dei capelli, il modo di portare i calzettoni.
“Sì, infatti. Su di me ne sento tante. Mi chiamano Gatto con gli stivali, Barbie, ballerina, dicono che mi pettino in campo. C’è chi mi dà dell’omosessuale, chi sostiene di vedermi con cento donne diverse. Mah. La verità è che faccio una vita normale, do anche il biberon a mia figlia. Pedinatemi, ammetterò le mie colpe davanti a prove”.
Un problema di immagine, il suo.
“Do un’immagine sbagliata. Magari perché mi metto vestiti eccentrici, perché faccio un po’ il coatto. Poi, vai a stringere, non faccio nulla di male. E quanto ai gay, niente in contrario, ognuno è libero di vivere la propria sessualità come crede. Ma io non sono omosessuale e sentirmelo dire mi dà fastidio”.
Ma da che dipende questo suo momento? Problemi personali?
“No no, tutto fila liscio. Solo un calo di forma”.
Si sente un po’ dimenticato dalla gente?
“Un po’ sì. Fa parte della vita. Ho vissuto momenti peggiori. Il primo anno a Roma fu pesante per me. Ora a confronto, una favola…”.
In campo sembra molto più tranquillo, però. Almeno quello…
“Sì, anche perché gioco meno del solito. Se sto fuori però sono meno tranquillo”.
Cosa le manca di Spalletti?
“Tutto. Dopo anni avevamo istaurato un bel rapporto”.
La sua Roma è finita a Catania in quel maggio 2008?
“No, non credo. E’ stato un problema di gioco, diventato prevedibile. Eravamo finiti senza essere finiti come calciatori”.
E con Ranieri come si trova?
“Dobbiamo ancora conoscerlo a fondo”.
Da un punto di vista tattico?
“Stiamo lavorando molto sulla difesa, è un gioco diverso. I risultati arrivano, quindi va bene così. Stiamo facendo altre cose, è chiaro certe cose del vecchio gioco ce le abbiamo ancora in testa”.
Ma tutti quei gol presi…
“Soprattutto colpa della difesa. E poi anche della fase difensiva della squadra. Prima delle partite, ci guardiamo in faccia e diciamo: stavolta non prendiamo gol. E invece succede. Più ci pensi e più prendi gol. E come andare a fare un esame e sperare che non ti chiedano un argomento che non hai studiato. Ti siedi, prima domanda: l’argomento che non hai studiato”.
E’ vero che il suo miglior compagno di reparto è stato Chivu?
“Con lui mi trovavo benissimo, eravamo diventati amici. Giocavamo spesso insieme. Ad esempio mi trovo bene anche con Juan, solo che con lui non riesco mai a fare più di due o tre partite consecutive”.
Resterà a Roma?
“Io qui sto benissimo, poi non so cosa vorranno fare loro, i dirigenti, la società. L’ultima volta che ho chiesto se mi mettevano sul mercato, mi hanno risposto di no”.
Ora come ora se questo Mexes dovesse partire, in pochi si strapperebbero i capelli.
“Sì, fa uno strano effetto pensare a questo. Anzi, forse farei felice più di qualcuno se me ne andassi. Ma io, per carattere, non ho mai mollato e non lo farò adesso”.
Il Milan. Una squadra a cui piace molto Mexes.
“Si sente da tempo. Ma adesso dobbiamo pensare a batterlo. Il campionato della Roma può ancora dire molto. Bisogna assolutamente tornare in Champions”.
Per lei questa è una stagione decisiva. C’è anche il Mondiale.
“Sinceramente non penso alla Nazionale”.
A Riscone disse che voleva essere il leader della squadra.
“L’ho detto, lo pensavo, vorrei tornare ad esserelo”.
Dà fastidio a un calciatore se una società ritarda il pagamento degli stipendi?
“Mah, non mi sembra un grosso problema per la nostra categoria. Può dare un po’ fastidio, ma non abbiamo certo bisogno di andare a chiedere i soldi alla mamma”.