Da Il Romanista:
“Ancora? Oh, siiii” dice lo striscione che appare in Curva Sud a fine gara. Ed è il tripudio. Con la squadra che esulta e va a raccogliere l’abbraccio dei tifosi. Che continuano a reclamare Francesco in campo anche dopo che i giocatori hanno fatto ritorno negli spogliatoi. “Un Capitano, c’è solo un Capitano”, continuano a cantare. Un pomeriggio da lupi, s’era detto alla vigilia, viste le condizioni meteo. E da “lupi” è stato. Non c’è Rosella Sensi in tribuna, in quello che verosimilmente è l’ultimo suo derby alla guida della società giallorossa. Anche se non è un’assenza che stupisce. Fatte rare eccezioni, la scelta di rimanere a casa, in occasione del derby, ha quasi sempre avuto per lei una motivazione di tipo scaramantico. E anche oggi c’è da presumere che quella sia la ragione della sua assenza. Che non è peraltro l’unica di rilievo.
Colpiscono soprattutto le tante che si contano tra i tifosi. Poco più di trentamila i paganti (non uno sproposito, trattandosi di un derby), per una gara che, per motivi di o dine pubblico, vede la Tevere sguarnita come poche altre volte. Quanto alla Sud, come era già accaduto, sceglie di lasciare vuoto lo spazio delimitato dalle prime venti file. La protesta è ancora una volta in nome dei diffidati. Sottolineata anche dallo striscione che compare ad inizio partita, “Il derby della repressione non merita la nostra passione”. E se altre volte ci si era limitati ai primi 15-20 minuti, stavolta lo spazio resta vuoto per tutta la gara. Una protesta, quella della Sud, che si traduce anche in mancanza di coreografie, fatto salvo lo sventolio delle bandiere e la “sciarpata” all’ingresso delle squadre, cui la Curva Nord risponde con un grande drappo in ricordo di Gabriele Sandri e, senza troppa originalità, le tante bandierine a marcare i settori di curva e distinti. La sola cosa, va detto, di colore biancoceleste che rimarrà nel ricordo di questa gara. Vista il poco seguito che la squadra laziale ha saputo dargli in campo con la sua prestazione. Ad unire, una volta tanto, lo stadio c’è invece l’inno di Mameli, intonato – tutti in piedi – prima del fischio d’inizio. Piove a dirotto, sull’Olimpico, mentre anche la temperatura sembra scendere sotto i livelli degli scorsi giorni. E poco contribuiscono a riscaldare cuori e ambiente le due squadre, almeno nel corso del primo tempo. Una prima fiammata arriva dal palo colpito da Pizarro e da un altro paio di occasioni propizie alla squadra giallorossa e malamente sprecate, ma poco altro. Per non dire nulla, da parte avversaria. All’inizio della ripresa la pioggia si fa ancora più insistente. Ed è a questo punto che il sostegno dei tifosi giallorossi si fa più costante. Soprattutto ora che la squadra giallorossa attacca verso la Sud. Lo si sente in occasione di un paio di incursioni di Menez, prima che Taddei lo rilevi, e via via che il tempo scorre. La posta in gioco è certamente alta e la tensione, com’è ovvio, cresce. In campo e sugli spalti. I minuti passano, tra qualche valutazione non sempre felice di Tagliavento, e la Sud che fa levare sempre p ù forte la sua voce. Sembra quasi sentirlo che la squadra ce la sta mettendo tutta. E uno su tutti, il Capitano. E’ lui che sta prendendo per mano i compagni e li trascina a crederci. Basta guardare la sua faccia mentre si appresta a calciare la punizione con cui batte Muslera, quando manca una ventina di minuti al termine. E’ l’espressione di chi sa che non c’è barriera che tenga, né ostacolo che possa frapporsi tra lui e la Sud. Che lo aspetta a braccia aperte e che lui ricambia correndovi incontro e mandando baci. Dopo il vantaggio, i minuti non sembrano passare mai. Ma la squadra è tranquilla. Lo sta dimostrando sul campo. Si era raccomandato, Vincenzo Montella, di lasciar fuori il nervosismo. E mai come stavolta i giocatori sembrano seguirlo. Tanto che ad esser preda dell’isteria collettiva è invece la Lazio, che chiude addirittura in nove, sotto i fischi. E meriterebbe di rimanere addirittura in otto o in sette. Quando, ancora il Capitano, mette a segno il 2-0 l’urlo è liberatorio come non mai. Perché i materializzano i cinque derby consecutivi vinti da questa squadra ma soprattutto, si raccolgono mettono le mani su tre punti fondamentali nella corsa ad un posto in Champions (perché limitarsi al quarto?). E a proposito di mani, fa finalmente la sua comparsa sugli spalti anche la “manita”. “Non vincete mai, non vincete mai”, ripete a più riprese la Curva. Gongola invece, a bordo campo, Bruno Conti. Era la prima volta che il derby si giocava il 13 marzo, giorno del suo compleanno, come per Sebino Nela. Anche loro potranno ora dire di aver ricevuto dalla squadra il regalo più bello che si possa desiderare in un giorno così. Auguri, Bruno. Auguri, Sebino. Auguri, Roma.