Chissà se Julio Sergio dimenticherà mai il 18 aprile 2010. Potesse succedere, certo, una città intera – a questo punto, la sua Roma – sarebbe pronta a ricordare frammento per frammento di quello che è accaduto nel corso di Lazio-Roma. Il colpo in canna di un portiere non può essere il gol. Lo esclude a priori il ruolo, sebbene vi sia più di un caso – nella storia del pallone – che vada a far mostra del contrario. La zampata di un estremo difensore non può essere la rete fatta, previa snaturalizzazione di un ruolo che ha specifiche definite. Un portiere qualunque sta lì per parare. Un estremo difensore speciale ha requisiti che vanno oltre il semplice adempimento del compitino: gli tocca dare man forte alla retroguardia, garantire sicurezza alla difesa, svolgere l’ordinario e saper far fronte allo straordinario. A riuscirci sono in pochi, più che comprensibile. Ma tra quella manciata di numeri 1 che si contano sulle dita di una mano (a pescare in tutta Europa) per la capacità di essere decisivi tanto quanto un attaccante, Julio Sergio è l’indice, il medio, l’anulare. Scegliete il dito, ma il brasiliano – in quella mano – ci sta eccome. Glielo provasse a dire oggi – Luciano Spalletti – che il brasiliano è il miglior terzo portiere al mondo. Dopo una stagione da protagonista e dopo il derby di un giorno fa. Mirko Vucinic, ovviamente. Ma non solo.
Perchè a marchiare per sempre la gara dell’Olimpico – e, magari, a rendere meno sogno il Sogno – è stato Julio Sergio. Fresco di rinnovo con i giallorossi fino al 2014. Contratto a vita, col trattamento riservato ai campioni. La storia dell’estremo classe 1978 e nativo di Ribeirão Preto è ancor più coinvolgente di quanto lo sia stata finora. Da una carriera professionale tinta di carioca alla Roma: un percorso di gavetta e prestazioni sempre convincenti. Poi la panchina a Doni, a volte ad Artur. Valeva 250 mila euro, adesso guadagna quattro volte tanto. Tre stagioni trascorse a guardare i compagni: con Spalletti mai titolare, con Ranieri un punto di riferimento che quando è mancato (dalla 25a alla 26a giornata, per infortunio) ha tenuto in allarme una tifoseria intera. Perchè tra i campioni visibilissimi che giocano nella Roma ce n’è uno meno appariscente ma altrettanto grande. I confini naturali di un’altezza poco congeniale al ruolo (178 cm) non gli hanno precluso di essere Grande ugualmente. A furia di prestazioni da Fenomeno, Julio Sergio è a tuti gli effetti elemento inamovibile. Campione, appunto: lo si capisce dal fatto che giocherebbe titolare in qualunque altra squadra. Per Lazio-Roma, gli abbiamo dato 7,5: “para tutto. L’ennesima dimostrazione di cosa significhi dare sicurezza al reparto. E’ straordinario, il brasiliano, riesce a cambiare la partita con una parata, la più importante, neutralizzando il rigore di Floccari. Da quel momento la Roma prende coraggio“. Non potrà scordarla mai, il brasileiro, la gara di ieri. Fotogramma per fotogramma. Era il 7′ della ripresa, lazio avanti 1-0 e beneficiaria di un calcio di rigore per fallo in area di Cassetti. Il Sogno stava per diventare una barzelletta. Lui ha guardato in faccia Floccari, ha aspettato, l’ha flashato. Da quell’istante, è cominciato il derby della Roma. E come è andata, è cosa nota. Ma nelle reti di Vucinic, perdoni il montenegrino, noi ci siamo stretti con la destra l’indice della mano sinistra. Era Julio Sergio Bertagnoli. Da miglior terzo portiere del mondo a uno dei tre più forti nel ruolo.