Da Il Giornale:
Dice il bravo opinionista che ormai sono gli episodi a decidere il risultato. Riduttivo. Ormai gli episodi decidono tutto: le nostre opinioni, le nostre certezze, la nostra stessa vita. Ancora freschissimo di cronaca, ora troneggia sulla storia italiana il palo dell’Olimpico. Apparentemente è un modestissimo tubo che regge la rete nel campo sportivo di Roma, dall’altra sera è il re assoluto della scena: più di una divinità mitologica, in pochi attimi è riuscito a ribaltare il destino di tanti uomini e la fermezza di tanti dogmi. Come al palo della cuccagna, appeso al palo di Milito c’è veramente di tutto. Ranieri, prima di tutto. Senza quel palo, adesso sarebbe ancora il Fracchia del grande calcio, perennemente vittima dei suoi limiti, l’eterno incompiuto con un glorioso avvenire dietro le spalle. Questo fino all’altra sera era Ranieri: persona per bene, certo, ma intesa come noialtri intendiamo le persone per bene, un po’ così, un po’ banalotte, anonime, senza carattere e senza virilità. Vogliamo dirlo?
Un egregio, signorile, rispettabile signor perdente. Se quel palo, come per un attimo è sembrato a tutti – il Pupone racconterà d’averci perso dieci anni di vita -, fosse adesso un gol, dopo Roma-Inter così ancora sarebbe Claudio Ranieri. Lo sarebbe ancora di più, perché potremmo aggiungere un’altra pezza giustificativa al nostro giudizio: come volevasi dimostrare, non appena Ranieri è a un passo dalla grande impresa, puntualmente rincula. Come tutti i perdenti di razza. Invece c’è il palo. Cioè una coincidenza dai contorni infinitesimali. E adesso Ranieri è tutta un’altra persona. Il suo limite così grigio e così noioso, questa normalità umana di atteggiamenti e di espressioni, diventa improvvisamente una virtù rara e un pregio inarrivabile. A me Ranieri sembra sempre lo stesso, com’era prima del palo di Milito: ottimo allenatore, consapevole di non avere inventato nulla, ottimo gestore di uomini, grazie a un buonsenso equilibrato e collaudato, forse soltanto un po’ troppo formale e inamidato quando deve esprimersi in pubblico (ma ci sta: non tutti sono istrioni e divi della comunicazione). A prescindere dal palo, Ranieri era ed è un uomo cui da Torino dovrebbero chiedere scusa, soprattutto per averlo demolito di dicerie al solo scopo di disfarsene. A suo merito, il grande campionato della Roma: non è per niente facile portare a un punto dallo scudetto la squadra di una padrona che deve 370 milioni di euro a Unicredit. Comunque vada a finire, Ranieri c’è riuscito. Eppure, proprio al palo restano legate la sua storia e la sua reputazione. Per un paio di centimetri, Ranieri diventa tutto un altro Ranieri: quanto è bella, e unica, e affascinante, e invidiabile, la sua normalità. Siamo magnifici, noi italiani: non facciamo che innalzare elegie alla normalità, ma non muoviamo un dito per realizzarla, inseguirla, applicarla. Il sospetto è che in realtà ci stia pesantemente sull’anima: la dimostrazione è anche nel numero imprecisato di mostri – artistici, politiInutile farla lunga, vale alla rovescia il discorso su Ranieri: per quel palo, tutte le sue celebratissime virtù (carisma, personalità, irriverenza, fermezza, genio e persino antipatia) ora sono i suoi evidentissimi limiti.
Battendo il Chelsea, aveva dimostrato a tutti quant’è geniale nella gestione di Balotelli. Grazie al palo di Roma, adesso è un cocciuto, fanatico, permaloso despota, nonché pessimo educatore, perché non capisce che Balotelli va recuperato con ben altri metodi. Ci sta, nella vita, che ad un certo punto si rivedano le proprie opinioni e le proprie certezze. Ma che tutto questo avvenga per un palo è abbastanza demenziale. Poi dice che ormai sono gli episodi a decidere le partite. C’è qualcosa di più paradossale: basta un palo a cambiare completamente la nostra testa. Come se lì l’avessimo sbattuta.
95’ MINUTO Mancano venticinque secondi al fischio finale dell’arbitro Morganti. È l’ultimo assalto dell’Inter alla porta della Roma, in vantaggio per 2-1: su un cross che arriva da sinistra, Samuel di testa allunga per Milito che centra il palo. «Nel calcio capitano gli errori, farne uno in 90 minuti ci sta – così ha commentato l’attaccante nerazzurro -. E io ho sbagliato l’ultima giocata della partita. Peccato, perché un pareggio sarebbe stato più giusto e nello spogliatoio si respirava un po’ d’amarezza» ci, televisivi, sportivi – elevati a nostri idoli contemporanei. Se non sono mostri non se li fila nessuno, però tutti tessono le lodi della normalità. Italian job. È andata bene a Ranieri: la sua immagine poverina è rimasta al palo, giganteggia ora – in un tripudio di aggettivi e di riverenze – la sua icona del buon padre di famiglia. Moderazione, toni soft, equilibrio, prudenza: tutto quello che prima era la sua caratura mediocre, ora è l’inimitabile bagaglio del grande leader. Per contrappasso, ecco rimanere al palo (di Milito) il leggendario personaggio di Mourinho.