“E’ il giorno più bello della mia carriera da calciatore“. Jeremy Menez ha archiviato la gara contro la Lazio a notte fonda. Come Luca Toni e Daniele De Rossi. Come Mirko Vucinic e Francesco Totti. Hanno fatto squadra anche nelle ore immediatamente successive al derby, i giocatori della Roma, e si sono tuffati con tutta la testa nel mare di festeggiamenti giallorossi che ha trasformato Roma in una città a misura di curva Sud. Da Testaccio – una processione di cori, un tripudio di abbracci – a Trigoria – almeno cinquecento persone festanti a fare della sede d’allenamento una discoteca a ritmo di battimani. Dal centro alla periferia. Il triplice fischio di Tagliavento ha assunto le fattezze del colpo di uno starter. Lazio-Roma è appena finita ma in realtà sta per avere inizio una pagina nuova di un libro che non avrà termine. Almeno da qui al prossimo derby. Forse nemmeno in quell’occasione.
QUESTA NOTTE E’ ANCORA NOSTRA. Roma non s’è assopita, la notte scorsa. I laziali erano in preda ai crampi, il popolo giallorosso s’è ‘mbriacato. La città festante è un dolcissimo preludio. Una spasmodica attesa. La voglia di caciara somiglia in maniera inequivocabile – senza andar lontano coi ricordi – alla magica serata che ha onorato i Mondiali 2006. Volessimo procedere a ritroso nel tempo, certo, il 2001 è ancora indelebile ma stavolta il sapore è, se possibile, ancor più zuccherino. Perchè la Roma ha iniziato a sognare cammin facendo. Doppio Vucinic a cancellare per sempre il gol di Rocchi. Lazio-Roma finisce 1-2. Da qui in poi, ogni cosa diventa lecita. Eccezion fatta per lo scempio messo in piedi da ventisette, ventotto deficienti nell’area prossima all’Olimpico e nella zona di Ponte Milvio. Non c’è spazio per nessuno di loro, in quella che vuole essere la cronistoria di una sera di festa. E non solo per una evidente presa di posizione, ma pure per il fatto che le feste – per natura propria – sono momenti di comunanza condivisi da persone per bene. Tuttavia, ci rientrano a pieno diritto una mamma e tre bambini piccoli che hanno rischiato di morire. E molti dei vessilli giallorossi sventolati e messi in mostra nella serata di ieri hanno preso vento anche per loro.
ROMA GIALLOROSSA. Uno, due, tre, quattro. Respiro. Cinque. A uno a uno, sono usciti tutti dagli spogliatoi. Da Julio Sergio a Marco Andreolli. Frastornati, confusi, inebriati.
Luca Toni e compagni sarebbero dovuti andare a cenare da Met, vicino Ponte Milvio. Evidenti motivi di sicurezza hanno portato a sconsigliare la scelta. Solo Marco Motta e Alessio Cerci non si sono fatti convincere e da Met ci sono stati per davvero. Il resto della squadra ha optato per un cambio in corsa scegliendo La Villetta. Ristorante collocato tra i quartieri Aventino e Testaccio. A pochi passi da lì è nato Claudio Ranieri: è sembrato in maniera indiretta il giusto omaggio da rivolgere al Generale, che il derby l’ha vinto in una maniera tale – fuori Totti e De Rossi dopo un tempo – che nessuno potrà mai più vincerlo allo stesso modo. Non c’erano i brasiliani, non c’era David Pizarro e mancava anche John Arne Riise. Gli altri, tutti presenti. Francesco Totti, oltre a indicare il luogo, si è portato Ilary Blasi. Perchè loro due, da che mondo e mondo, sono indissolubili. Come il pennello e la vernice. O – direbbe Vodafone – come il cellulare e la scheda Sim.
IL MENU’. Manca il Generale e allora ci pensa il Capitano. Ha offerto la cena a tutti. Forse pensando che la fame, dopo aver consumato un pasto tanto luculliano alla mensa dell’Olimpico, fosse scemata. Macchè. Si sono divorati di tutto e di più. Dall’antipasto “La Villetta” a base di salumi e formaggi, al primo – esclusivamente alla carbonara – alla grigliata di carne a scelta. Ad accompagnare, un vino rosso di primissima qualità. Quelli della Roma so’ lupi anche a tavola. Fosse stata una partita di poker, lo stesso Totti, a quel punto, l’avrebbe detto: “Posso mai passa’ co’ ‘na scala in mano?“. Invece, era il pasto dei vincitori, ma ugualmente nessuno ha rinunciato al trionfo di frutta e dolci bagnato da 3 bottiglie di champagne formato magnum. A pancia piena, ora sì, ragionare su come consumare la festa ha motivo d’essere.
FUORI, FUORI. L’uscita è un tripudio: ad aspettare i calciatori all’uscio de La Villetta, una piccola folla di tifosi che ha atteso in venerazione. Cento, centocinquanta anime giallorosse che stavano lì ad accoglierli tutti. Uno per uno. Sono dovuti uscire a gruppetti di due alla volta – sembrava la divisione in sottoinsiemi di Ranieri nel corso delle sedute di allenamento – ma nei festeggiamenti hanno deciso di catapultarcisi (ore mezzanotte e trentacinque). Cori e boati, le mani a tamburo, la stessa voce che ciascuno porta con sè quando s’appresta a recarsi in curva. Totti, Toni, Mexes, De Rossi, Menez: la passarella dei cinque – tragitto ristorante-macchina – ha assunto dimensioni che non si raccontano. Ma si immaginano e basta.
LUCA TONI. Tanto Roma s’è legata a Toni quanto il bomber s’è cucito addosso la Capitale. Sarà che gli somiglia, in quel modo d’essere sempre il primo a ridere. Sempre tra gli ultimi a smettere di farlo. Proprio l’ariete giallorosso, salito in macchina sulla Smart di Daniele De Rossi, ha attraversato il corteo con Capitan Futuro e s’è voluto godere in pieno l’attimo: a un certo punto, circondato dai tifosi, è uscito fuori dal finestrino con tutto il busto e si è messo a smuovere il braccio sorreggendo un’ascia bipenne romana (giocattolo). Intanto Totò (o Peppino, ognuno personalizzi) De Rossi strombazzava il clacson come il migliore dei capi-popolo. Fuori dalla ressa, una sola direzione: il Jet Set, quartiere Eur, adiacenze laghetto.
PRIVE’. Tre tavoli riservati: c’erano Totti, Toni, De Rossi, Vucinic, Brighi, Mexes, Menez, Andreolli. Zitto zitto, il francesino numero 94 in quota ai giallorossi, s’è lasciato andare che è una bellezza. Eccentrico – per quel modo di vestire assolutamente esclusivo – e taciturno; spaesato – con quell’aria che pare essere sempre fuori luogo – e scanzonato. Jeremy Menez l’abbiamo visto parte integrante di un gruppo che gli vuole bene e lo coccola. Tutt’altro che estraniato: lui è proprio così, ma in quel suo porsi nei confronti della vita con le maniere un po’ scontrose, la realtà vera è che FenoMenez è elemento imprescindibile, una pennellata dell’insieme, un frutto della cesta. Si è divertito, ha fatto il guascone, ha perfino sorriso per più di quindici secondi consecutivamente.
MENEZ. “E’ il giorno più bello della mia carriera da calciatore“. Era entrato, qualche ora prima, per Francesco Totti: Menez ha cambiato volto al derby almeno quanto Vucinic e Julio Sergio. Nulla di decisivo, tutto di indispensabile. “Nessuna rivincita personale“. A ‘sto punto, di gare splendide, ne ha già inalellate parecchie. Ranieri gli ha insegnato a essere parte della squadra, la squadra a sua volta gli ha aperto un varco per fiondarcisi all’interno. E lui, come Toni quando sta in mezzo al casino, dopo averlo capito, in quel varco ci è entrato con anima e corpo. “La vittoria la dedico a tutti“: destinatari, i tifosi della Roma che lo hanno accarezzato anche quando avrebbe meritato ceffoni. Stare sottobraccio a Menez ha un sapore esclusivo. Ci riescono solo persone altrettanto speciali. Perchè lì, a tu per tu con il transalpino, è questione di frammenti di secondo. Ci si deve capire al volo. E i tifosi della Roma, da che esiste il club, lo sono per davvero. Speciali. “Sapevo che non avrei giocato“. Ma non sapeva, con ogni probabilità, che la sua mancata presenza sul terreno di gioco sarebbe durata solo 45, superflui, minuti.
GILDA. Tra un ballo e una scompisciata, hanno tirato fino all’una e trenta e si son dati appuntamento nel parcheggio del locale. Qui, l’unico disaccordo della serata. Tra Toni e Vucinic. Il montenegrino optava per la nuova tappa in un pub tranquillo, quasi a cercare un attimo di raccoglimento per mettersi a riflettere su cos’aveva appena fatto. L’emiliano ha detto Gilda. Con Gilda, ha detto tutto. In pieno centro a Roma, oltre a Toni, anche De Rossi, Andreolli e Motta mentre Damiano, dava un senso ulteriore al pensiero di quelli che dicono che Parigi non vale Roma. Che loro, in Francia, mica ce l’hanno un angolo di paradiso che si chiama “Da Checco lo Scapicollo“. Ci ha passato la sera, il secondo di Ranieri. L’Aquila se l’era divorata poco prima. Deve aver optato per qualcosa di più leggero.
A. Bavaro-S. Di Segni-M. Visco