Riportiamo l’articolo del Messaggero sulla vicenda Unicredit-Italpetroli, che potrebbe portare alla vendita la Roma.
Unicredit chiede al tribunale di Roma che attesti «la dichiarazione di nullità o comunque l’annullamento della delibera assembleare del 30 giugno 2009 di approvazione del bilancio 2008 della Compagnia Italpetroli». L’atto di citazione redatto da Francesco Carbonetti, Fabrizio Carbonetti, Massimo Tesei, secondo quanto ricostruito da Il Messaggero presso fonti giudiziarie, lungo 13 pagine in cui si ricostruiscono gli ultimi eventi, è stato depositato l’11 novembre scorso. L’udienza è fissata per il 25 febbraio 2010. Il nuovo fronte giudiziario aperto, dopo le 13 richieste di procedimenti esecutivi presentate e i due pignoramenti ottenuti, dimostra che Unicredit ha rotto gli indugi per recuperare il proprio credito, pari a settembre a 324,9 milioni, cui vanno aggiunti altri 100 milioni che Italpetroli deve a Mps. La banca guidata da Alessandro Profumo spiega che avendo l’istituto di credito disdettato l’accordo sul debito – perchè Italpetroli non ha pagato le rate – il bilancio non sarebbe più veritiero perchè non tiene più conto del valore dei crediti e delle partecipazioni. Non c’è quindi, sempre secondo gli avvocati, più continuità aziendale. Di qui l’ipotesi che il gruppo venga messo in liquidazione con la cessione di tutti i beni, compresa la As Roma, per restituire quanto dovuto. «Gli amministratori ritenevano che il gruppo Italpetroli», si legge nel documento, «si trovasse in una situazione di continuità aziendale e, conseguentemente, predisponevano il bilancio secondo i principi applicabili nella prospettiva della continuazione dell’attività» Ma «la valutazione di continuità, nella situazione di fortissimo indebitamento di Italpetroli, era in buona sostanza basata sull’esistenza di un accordo con il principale creditore, Unicredit – socio al 49% del gruppo di cui la famiglia Sensi ha il 51%, ndr – comprendente tra l’altro, un pactum de non petendo e disciplinante un processo di significative, ma progressive cessioni di asset». Il progetto di bilancio veniva approvato il 28 maggio dal consiglio e il 30 giugno dall’assemblea, con l’astensione di piazza Cordusio. Pochi giorni dopo l’ok del consiglio, cioè «il 4 giugno Unicredit esercitava il proprio recesso dall’Accordo sul debito». E come conseguenza «veniva meno il pactum de non petendo», cioè l’impegno a non intraprendere azioni giudiziarie per riavere i soldi. Il 15 giugno il Collegio sindacale dava parere positivo al bilancio e «non faceva menzione dell’intervenuta inefficacia dell’Accordo sul debito». Sempre il 15 giugno anche PriceWatherouseCoopers, società di revisione, emetteva giudizi che «ignoravano l’intervenuta risoluzione dell’Accordo sul debito e le ”dirompenti” conseguenze sui bilanci». Il rilievo mosso nella citazione è che tra l’approvazione del consiglio e quella dell’assemblea, è intervenuta la disdetta degli accordi e «di ciò non è stata data alcuna informazione in sede di approvazione». Lo studio Carbonetti si dilunga nell’argomentare che secondo i principi contabili, cioè i criteri alla base della compilazione di un rendiconto, se tra le due delibere intervengono fatti nuovi «gli amministratori dovranno opportunamente modificare il progetto di bilancio…. facendo cadere il presupposto della continuità aziendale. Nel caso specifico essendo stati violati i principi, i bilanci non rappresentano in modo corretto e veritiero la situazione finanziaria e patrimoniale del gruppo Italpetroli, venendo meno il rispetto del fondamentale principio di attendibilità del bilancio». Nulla viene spiegato nella relazione del cda sulla disdetta dell’Accordo ma «gli amministratori hanno sentito la necessità di indicare, tra i fatti di rilievo intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio, il raggiungimento, nel marzo 2009, di un’intesa con Unicredit per un’integrazione dell’Accordo sul debito avente ad oggetto il differimento di alcuni termini previsti». La rata inevasa a dicembre di 150 milioni, avrebbe dovuto essere pagata a luglio. Nella citazione per spiegare i motivi per i quali il bilancio sarebbe da annullare si fa riferimento ad «alcune voci dell’attivo che paiono significativamente sopravvalutate per effetto della mancata applicazione dei suddetti principi». Italpetroli è una holding, «le poste primariamente interessate sono senz’altro le partecipazioni (iscritte in bilancio per oltre euro 117 milioni) ed i crediti verso le controllate (118 milioni)». Le partecipazioni «sono state valutate al costo (117,8 milioni) a fronte di un valore di patrimonio netto inferiore per oltre 80 milioni (esattamente 35,3 milioni)». Quanto ai crediti «parte significativa di tali rapporti deriva da operazioni infragruppo» e la loro restituzione poggia sull’esistenza dell’accordo sul debito. Dalle carte si apprendono dettagli finora inediti dell’accordo sul debito del 18 luglio 2008: tra le ipotesi di risoluzione di questo accordo figura la mancata trasmissione ad Unicredit della certificazione del valore del nav – cioè del patrimonio di gruppo al netto delle passività – entro il 30 aprile. Siccome Unicredit non ha ricevuto questa certificazione entro la scadenza, la banca ha ritenuto che il patrimonio fosse negativo. Così il 4 giugno ha notificato il recesso dall’accordo. Italpetroli ha comunicato il 30 giugno a Unicredit, oltre i termini, il valore del nav, positivo, ma il 10 novembre piazza Cordusio «eccepiva che il nav trasmesso non era conforme ai criteri contrattuali poichè includeva significative rettifiche positive, diverse ed ulteriori rispetto a quelle contrattualmente ammesse che, ove scomputate, conducevano ad un risultato negativo del nav».