Cinque punti in sei gare, lo direbbe ogni graduatoria, rappresentano una marcia da retrocessione. Cinque reti in sei partite è trama da terzo peggior attacco della stagione (dietro, solo il Cesena con 4 marcature all’attivo e l’Udinese, una in meno). Due dati, senza aver ancora toccato il fondo. Perchè tra i numeri si legge di peggio: le undici reti subite (la media di poco meno di due a partita) dicono che quella della Roma è la peggior difesa della serie A. Gli estremi capitolini sono quelli più perforabili nonostante capiti – come a Napoli – che siano anche i migliori in campo. Tre trasferte, tre sconfitte: solo l’Udinese, dietro di un punto, ha fatto peggio di Totti e compagni (quattro gare perse). Amaro primato – messo lì, a caso manco per niente – anche quello delle due espulsioni in sei partite (prima Burdisso poi Mexes): solo Fiorentina (che i suoi guai li ha) e Lecce pareggiano il record negativo. I cartellini gialli sono per ora quattordici: tre a testa per Cassetti e Perrotta, solo il Bologna ha saputo fare peggio incassandone quindici. De Rossi, Borriello (2), Vucinic (oltre all’autorete di Britos in Roma-Bologna): tre i giallorossi in gol, Francesco Totti non si è ancora sbloccato nonostante in parecchi concordino sul fatto che sembra Benjamin Button (nella passata stagione, a questo punto stava già in doppia cifra). A tutto ciò, si aggiunga pure il disastro dell’arbitro Russo che, al Rigamonti di Brescia, decretò il successo delle Rondinelle praticamente da solo. Sommando gli addendi, viene fuori che – dopo il capolavoro dello scorso anno – Claudio Ranieri è per la prima volta messo in discussione. Se non (ancora) dalla dirigenza, sicuramente da parte della piazza (e dello spogliatoio?).
Er core der Testaccio. Un gentiluomo di rara finezza. Di apprezzabile schiettezza. Un romano. Prestato al resto del pianeta per trent’anni. Con l’effetto inevitabile che altrove, Ranieri, lo ricordano con affetto e stima. Dici, vabbè: fosse il calcio a misura di buone maniere, avrebbe ragione lui. Invece, sulla bilancia ci finiscono poi solo successi e traguardi. I risultati. Allora te lo sfogli, il palmares: a Firenze, coppa Italia e Supercoppa italiana; a Valencia coppa di Spagna e Supercoppa europea. Miracoli a Cagliari (in due anni, dalla C alla A), quarto posto al Napoli (nei tempi in cui i partenopei guardavano in tv l’Europa degli altri), semifinale di Champions League e secondo posto in Premier con il Chelsea (non quello che suda milioni di Abramovich ma l’altro, attento ai conti, della gestione precedente), bene anche alla Juventus dei tempi da “crisi nera” (non vince nulla, ma si fa rimpiangere per tutta la passata stagione). Finchè, spalancato l’uscio di casa, Ranieri si trova a varcare i cancelli di Trigoria.
RANIERI GIALLOROSSO. Stagione strepitosa, pagina voltata qualche mese fa, si ricomincia. Almeno due le certezze in mezzo a una vagonata di dubbi inerenti ai destini societari. Una ha il 10 sulle spalle, all’anagrafe Francesco Totti. L’altra ha le fattezze di Steve Martin ma se ne sta al di qua della cinepresa. Claudio Ranieri, si diceva, è l’uomo giusto per questa Roma. Quello cui non manca il coraggio di andare a ribaltare un derby mettendo fuori dal campo il Capitano e De Rossi, quello del miracolo dei ventimila al Bentegodi, lo stesso della marea giallorossa trasferita in blocco a Riscone di Brunico.
Quasi fedele – consciamente, inconsciamente? – all’aforisma di Paul Valery (“Il fine della psicologia è darci un’idea completamente diversa delle cose che conosciamo meglio“), Ranieri ha manipolato i dati di fatto. Fino a dare l’illusione che la rosa (a cui mancava qualcuno o qualcosa) potesse carezzare ambizioni importanti. Lo ha fatto, il testaccino, toccando le corde verso cui la squadra era più recettiva. Il modulo, l’approccio mentale, lo spirito: tutto in funzione di ciò che si ha a disposizione. E a disposizione – volente o nolente – il calcio mercato gli ha poi messo Adriano (parametro zero), Simplicio (idem come prima), Rosi e Castellini. Burdisso è l’unico calciatore che Ranieri ha voluto con insistenza: 8 milioni e ha portato in dote il fratellino, vero, ma è anche stato tra i pilastri del campionato scorso. Poi, bontà elettorale, Ibra ha liberato Borriello.
VOCI & EQUIVOCI. Alla favola che Ranieri, avesse potuto scegliere, avrebbe optato per l’Imperatore ci possono credere i laziali. Non gli altri. Alla bugia che Riise (così come Cassetti) non sia più imprescindibile, stessa conclusione. Esigenze di bilancio, lo hanno sempre saputo tutti. Al dato di fatto, invece, che Vucinic e Pizarro sono malconci, Julio Sergio e Taddei out, il norvegese convalescente, Mexes e Burdisso altalenanti ci si provi a credere: potenzialmente, sei titolari (su undici che giocano, più della metà). Come pure lascia dubbi – e ci si interroga sulla preparazione estiva – il fatto che i giallorossi perdano o si facciano sfuggire di mano le partite nella ripresa. Inoffensivi a Cagliari, Monaco, in casa contro il Bologna, Napoli: il calo del secondo tempo è evidente. Si perde 5-1 per un crollo corale, non per la sostituzione di Totti (che, semmai, in quella circostanza ha quasi potuto chiamarsene fuori). Si esce tramortiti dalla Baviera dopo un ottimo primo tempo se di benzina non ne hai più. Provi a mettere in discussione i metodi di Ranieri ma poi scopri che le seconde stagioni del testaccino (quando gli è capitato di impostare la preparazione) sono andate sempre – eccezion fatta per Napoli – meglio della prima. Allora, semmai, si insinua – mentre ti scervelli – una sola perplessità: la suggerisce il ricordo della conferenza stampa a precedere Roma-Bologna. Quando il tecnico zittì i giornalisti e si trasformò in altro da sè. In quel caso non fu solo un uno contro tutti, ma sembrò – per davvero – un romano (e romanista) contro parte dei romani (e romanisti) a tutela di un bene comune. La Roma. Una leggerezza motivata da una polemica nata e cresciuta nella capitale. E’ così che il punto di forza di Ranieri lo ha reso di colpo vulnerabile: quell’essere romano, romanista. Testaccino. Partigiano. Accade per eccessivo attaccamento e le ferite inferte da quel che ami rendono fragile chiunque. Altrove, Ranieri avrebbe lasciato correre. In barba alle ombre di Lippi e Leonardo. Romano, romanista. Testaccino. Partigiano. Continui a esserlo, mister, ma lo faccia a modo suo. E il modo, lo conosce bene, è lo stesso di qualche mese fa. Quando accadeva che Ranieri si preoccupava solo di preparare e schierare la migliore delle squadre possibili, Totti di essere bandiera e la Roma di fare onore alla maglia. Sta all’allenatore fare in modo che sia di nuovo la città ad andargli dietro, non il contrario. Per dirne una: quello di qualche mese fa, davanti alle ombre di Lippi e di Leonardo, avrebbe fatto ciao con la mano, pigiato l’interruttore, spento la luce. Poi, avrebbe pure sorriso. Un testaccino lo sa bene: è sempre l’individuo che determina i risultati, mai il contrario.