Che beffa se Prandelli ripartisse (stavolta a ragione) dalla Juventus. E da Marco Motta…

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 Paralisi totale. Il calcio italiano in apnea. La Roma in stallo.
Come la metti metti, non è un periodo felice. Perché una Coppa del Mondo vinta da una parte, un campionato finito con dignità e onore (seconda dietro l’Inter) dall’altra, sono serviti solo quali palliativi per anestetizzare. Ma con l’anestesia che sparisce, si torna a sentire male. A conti fatti: la Nazionale saluta il Sud Africa con poco decoro (non dico vergogna per non offendere – per esempio – il prossimo futuro degli operai di Pomigliano), i giallorossi faticano ancora a capire di che morte morire: Italpetroli, Unicredit, la famiglia Sensi. Nell’aria c’è olezzo, anzi: è Profumo. Alessandro.
E mentre in Italia un indiziato su tutti – Marcello Lippi – viene additato (non a torto) quale artefice di una figuraccia, Roma ha almeno 325 milioni di motivi (più interesse) per mettere il cuore in pace. E provare a farsene una ragione. Occorre – in un senso e nell’altro – tornare a vincere: lo chiede la Storia, lo invoca la piazza. Ma urge ugualmente – in un senso, nell’altro – provare a mettere ordine. Perché l’incaponimento e la confusione di Lippi possono servire quale parafulmine, la situazione societaria del club capitolino pure: ma non è solo questo. Manco per niente.
 CANNAVARO & COMPANY. Presunzione e scarso coraggio: questi, per me, gli errori di Lippi. Perché poi, provi a pensare su chi ricostruire la Nazionale e, francamente, i nomi non sono molti. Dici con convinzione Chiellini, De Rossi (basta che non sia quello che ha giocato contro la Slovacchia, frastornato), ma poi? Gli Azzurri del Sud Africa hanno chiuso un ciclo e lo avrebbero archiviato se pure avessero ripetuto la vittoria di Berlino. Gruppo vecchio, squadra fiacca, tecnica latitante e fragilità che non ci si può permettere nemmeno in Lega Pro. La nota triste è che neppure un italiano tra i 23 convocati dal Ct (tengo fuori solo le riserve mai utilizzate, se non altro per mancanza di riscontro) ha mostrato di poter essere escluso – in simultanea – dalle quattro lacune di cui sopra. Il gruppo Juventus non meritava di starci – così compatto – in Sud Africa: vero. Salvo poi rendersi conto che – e varrà anche per il prossimo anno – in Italia sono soprattutto i bianconeri (tra le squadre di vertice) a puntare sugli italiani. Buffon, Chiellini, Pepe, forse Bonucci, Marchisio, Iaquinta, forse Motta: dovessero giocare tutti titolari, da dove dovrebbe ripartire – eventualmente – Cesare Prandelli? Dall’Inter multirazziale? Dal Milan o dalla Roma degli italiani ultratrentenni? Non siamo la Spagna dei talenti ragazzini che militano tutti o nel Barcellona o nel Real Madrid. Dovremmo provare a diventarlo. Forse, nel fare ciò, potrebbe tornare utile a Prandelli ricominciare dai tricolori che appartengono a squadre di seconda fascia: perché le big comincino a tenerli in considerazione in fase di calciomercato. Anziché investire in viaggi aerei oltre oceanici e andare a pescare in riva al Pacifico, all’Atlantico. Col Mediterraneo a due passi, dico io. Abbiamo fatto la fine di Taranto: il porto strategicamente più importante diventa un porticciolo qualunque. Una città che potrebbe vivere di solo turismo costretta a dipendere dai destini dell’Ilva (industria siderurgica messa lì per assecondare interessi che stanno altrove) che prima di garantirti lo stipendio ogni mese, ti regala un certificato di morte (si concentra in quell’area una delle percentuali più elevate di tumori). Il vivaio esiste ma è di facciata: i giovani crescono, vengono spediti in giro per l’Europa a fare esperienza, tornano a poco meno di trent’anni e li si tratta ancora come incompiuti. E quando ci sono, fanno la fine di Marco Motta: nonostante la crisi economica che interessa le maggiori società calcistiche.
 SENSI & PRADE’. Non scandalizzi il fatto che la Roma abbia rinunciato a Marco Motta più di quanto possa eventualmente lasciare perplessi il dato evidente che Claudio Ranieri non gli abbia dato spazio praticamente mai. L’Udinese lo riscatta per meno di 1 milione e mezzo. La Roma ha offerto meno, per evidente scelta di mercato. E se prima occorreva garantire ricambi alla difesa, ora ci si è messi nelle condizioni di cercare una alternativa in più. Ma con quel milione e mezzo, gli unici mercati aperti sono quelli delle categorie minori. O dei paesi orientali, quelli (solito salvagente) sudamericani. Scelta tecnica può essere quella di preferire Cassetti a Motta, non quella di rinunciare a un laterale che – con ogni probabilità – sarà rimpiazzato con l’ennesima scommessa. Vengono in mente solo tre scenari: che la Roma sia obbligata all’immobilismo almeno fino alla risoluzione della trattativa tra la holding petrolifera e l’istituto di credito; che il club abbia intenzione di cedere per davvero qualche pezzo pregiato per provare a costruire un organico competitivo; oppure – a questo punto sarebbe un auspicio – che si decida di investire con determinazione sui giovani del vivaio. Anche a costo di accontentarsi di mezze vittorie ancora per qualche anno. Vale per Scardina, per Pettinari e compagnia: se sono pronti, che si aspetta? Scommessa per scommessa, varrebbe l’investimento fatto per Adriano. Perché quando Lippi chiama Camoranesi sperando torni a essere quello di quattro anni fa a me vengono in mente le parole di Rosella Sensi in occasione della presentazione dell’Imperatore: “Finalmente ho l’opportunità di presentare un grande acquisto”. Roba che nemmeno papà Franco quando presentò Batistuta osò fino a quel punto.
E, francamente, rimango perplesso in entrambe le circostanze. Torno a dire: se dietro al rinnovo di Marco Cassetti ci leggo anche l’impossibilità di fare campagna acquisti, possibile che Motta non valesse quel milione e mezzo di euro? “Il giocatore ha rifiutato ogni proposta che gli abbiamo fatto”, diceva Pradè. Piacerebbe quantomeno conoscerle, quelle proposte. Solo il Milan degli ultimi tempi ha capito che, senza una lira in tasca, la via è una sola: far crescere – e giocare – uno come Antonini. Senza fare marcia indietro alla prima partita sbagliata.
 ALLORA. Con tutti i limiti che gli si riconoscono (di età, di tenuta, di lucidità), Cannavaro su un punto non ha torto (ma è anche vero che proprio il suo è l’esempio che contraddice le parole pronunciate). Dice, prima di tuffarsi nell’oro dell’Arabia: “E’ da un po’ che lo dico, il nostro meccanismo deve cambiare. Basta vedere i nostri stadi, la cultura che c’è quando andiamo a vedere la partita. Bisogna investire su giovani, se non investi finisce che affronti un mondiale dopo averne vinto uno e fai fatica. Tutti i club devono capire che il fallimento della nazionale è anche il fallimento dei club”. A chiamata, Cannavaro risponde: l’errore è tutto di Marcello Lippi. Perché Bonucci avrebbe meritato in più di una occasione il posto da titolare di fianco a Chiellini. Lippi, in questo, ha fatto quel che continuano a fare i vertici della società, qualunque sia l’àmbito. Prima i raccomandati, poi l’ordine gerarchico. E se avanza posto…
E non per questo, tuttavia, il limite delle società calcistiche è meno evidente e francamente incomprensibile. Perché se non si investe sul talento del vivaio neppure in tempi di magra. Bhè, allora significa che è un fattore culturale. Innanzitutto culturale. E sperare in Cesare Prandelli significa, per lo stesso motivo, augurarsi che l’ex fiorentino abbia avuto modo di maturare in maniera tale da svincolarsi dalle catene (tipicamente nostrane) di cui sopra. Magari ripartendo dal blocco Juventus (sai che beffa, ci fosse Marco Motta): ma per motivazioni assai differenti. Provasse a farlo anche la Roma, di intraprendere una politica giovane e tricolore, a me non dispiacerebbe: in mezzo ai campioni, i giovani maturano in fretta. Il rischio, alternativo, è che tra qualche anno di campioni in giallorosso resteranno solo le fotografie. A meno che Alessandro Profumo ci regali uno come Massimo Moratti. In quel caso, ma solo in quel caso, occorrerà arrabbiarsi seriamente se la squadra finisse l’anno con la bacheca vuota.


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