Bari, Perinetti: “Roma sei nel cuore, ma ti batto”

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 Da Il Corriere dello Sport:

Giorgio Perinetti, un romano e ro­manista sulla strada dei giallorossi che por­ta allo scudetto.«Sono i percorsi professionali che creano queste situazioni. A me fa piacere che la Ro­ma lotti per lo scudetto e che sabato darà vi­ta a una bella sfida con la mia squadra. An­che il Bari merita di finire sotto i riflettori e può competere con la Roma».
Il Bari è gia salvo e vuole chiudere con onore il campionato.
«Noi abbiamo dato dimostrazione del no­stro modo di fare calcio già dalla prima gior­nata contro l’Inter. C’è sempre la ricerca da parte del Bari di un calcio propositivo. Dob­biamo finire come abbiamo cominciato, con la speranza di fare una grande prestazione».
Nella sua carriera di dirigente ha sempre cercato allenatori capaci di esprimere bel calcio.
«E’ il retaggio dell’amicizia con il grande Nils Liedholm, del quale sono stato compa­gno di viaggio per tanti anni. Mi ha trasmes­so la sua filosofia. Con lui ho cominciato a la­vorare nella Roma che finì terza nel 74-75. Da allora mi porto dietro il suo insegnamen­to, un allenatore deve costruire e non distrug­gere ».
Ha cominciato giovanissimo a fare il diri­gente, evidentemente non ha fatto molta strada da calciatore…
«Con la Roma ho avuto il primo contratto a 24 anni, ma da collaboratore sono entrato giovanissimo. Da calciatore… beh diciamo che ho fatto spesso il guardalinee, dicevano che ero bravo… Giocavo nei tornei Uisp o Csi, poi il primo incarico da dirigente nella Jaco­bini Sport. Fu grazie a questa piccola società che finii alla Roma, perchè con gli Esordien­ti vincemmo contro i pari quota giallorossi in finale al torneo Nistri e la Roma mi chiamò».
Alla Roma andò via la prima volta quando Viola prese Marino.
«Sì e poi sono tornato con Sensi. Sono stati due presidenti simili nella volontà ferrea di far rispettare la Roma. Ed avevano in comu­ne anche pregi e difetti, il pregio di essere ti­fosi della Roma e il difetto di esserlo troppo».
Quando era al fianco di Franco Sensi la fi­glia Rosella era giovanissima.
«Partecipava alla trasferte della squadra con il padre, mi sembrava che già da ragaz­za studiasse da… Sensi e da presidente. Era molto attenta ai comportamenti e agli inse­gnamenti del padre. Sta dimostrando di es­serci riuscita, con ancora più meriti perchè come donna incontra maggiori difficoltà».

La sua più grande soddisfazione da diri­gente? «E’ stata insieme la più grande soddisfa­zione e la più grande delusione. A 34 anni quello scudetto sfumato contro il Lecce. Il campionato era vinto, lo buttammo via con una partita assurda. Eriksson lo indicai io a Viola, come sostituto ideale di Liedholm. Un’altra grande soddisfazione fu quando consegnai proprio in extremis la famosa bu­sta con l’accordo preliminare con Cerezo. Un giocatore straordinario, superiore o al meno sullo stesso piano di altri campioni più cele­bri, come Falcao».
I suoi rimpianti.
«Quello di non essere riuscito a portare Trezeguet giovanissimo. Lo andai a vedere con Sella a Monaco e capii subito che era uno straordinario finalizzatore che si poteva prendere a prezzi accessibili. L’altro è che quando andò via Eriksson avevo avuto l’in­tuizione di affiancare a Liedholm direttore tecnico Fabio Capello, che all’epoca era alle­natore della Primavera del Milan. Non fu possibile. E poi avevo preso Costacurta quan­do aveva 13 anni, ma con l’avvento di Viola, che si avvaleva della collaborazione di Pa­squali, si prese un’altra strada, che era quel­la di non prendere ragazzi che venivano da fuori. Consigliai anche Vieira a Sensi, pazien­za… ».E poteva portare Ranieri sulla panchina della Roma quasi venti anni prima… «Ciarrapico lo voleva portare via dal Napo­li, ma non fu possibile perchè era ancora sot­to contratto. Con Claudio non ho mantenuto una grande frequentazione, ma i rapporti so­no cordiali. Ranieri ha grandi meriti per quello che sta facendo, ma la Roma era una squadra sottovalutata. Ha un organico im­portante, che è stato arricchito da Toni. Ra­nieri è riuscito a dare continuità. Il segreto è aver rivitalizzato una rosa di qualità».
Ranieri è cresciuto come allenatore nelle esperienze all’estero.
«Lo presi al Napoli per il dopo-Maradona e aveva un solo campionato di serie A alle spal­le. E’ un allenatore di grande equilibrio, che trasmette serenità. E oggi ha venti anni di esperienza maturata in grandi club».
Il suo sogno nel cassetto.
«Da romano tornare a casa sarebbe il mas­simo. Ma la mia più grande ambizione è ri­partire da dove ho cominciato, il settore gio­vanile. Sarebbe una promozione. I vivai an­drebbero rilanciati».

Nella lotta scudetto, tra le milanesi e la Roma il cuore dice Roma. «I sentimenti sono privati, ma le possibili­tà della Roma sono tecniche. In questo mo­mento l’Inter ha la distrazione della Cham­pions. Ma la Roma sabato non avrà vità faci­le, abbiamo fatto soffrire tutte le grandi. Al ti­foso Carlo Verdone, mio vecchio compagno di scuola, dico di stare in guardia…»


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