Da Il Romanista:
Chi era allo stadio, quel pomeriggio, per quel Roma-Bayern di Coppa delle Coppe, non può non sentire ancora i brividi su per la schiena. Complice quella curva, che, anche di fronte alla sconfitta della propria squadra, continuava a cantare, a piena voce. Un mare di tifosi, le sciarpe aperte davanti sé, a ripetere, sulle note di una vecchia canzone di Doris Day: ´Que serà, serà. Noi sempre ti sosterrem, noi sempre ti seguirem! Que serà, serà…´. Quel giorno – era il 20 marzo del 1985, e si giocava alle 15 – in campo, con la maglia giallorossa, c´era anche Sebino Nela. «Erano belli quegli anni» dice l´ex difensore, quasi con nostalgia. «Proprio perché si era cementato il rapporto tra squadra e tifosi. La curva, soprattutto, era unita e ci si conosceva tutti». Si lascia andare alle ricostruzioni, Sebino. «Si viveva in un ambiente splendido. Ci si vedeva già una prima volta durante il ritiro estivo. I tifosi venivano sempre a tutte le trasferte: era il periodo, ricordo, in cui i ragazzi venivano a trovarci addirittura negli alberghi, in giro per l´Italia? Non c´erano, insomma, tutti quei controlli che ci sono oggi. Con la ´blindatura´ che hanno i giocatori, a cominciare da quando salgono sull´aereo a quando arrivano a destinazione, in albergo. Davvero un´altra cosa?».
Che ricordo hai di quel la sfida con i tedeschi?
Il primo ricordo che ho, tornando con la mente ad allora, è il piacere che si provava nel giocare le partite di coppa. E la Coppa delle Coppe non era affatto ´minore´. Anzi! Oggi, purtroppo, il calcio moderno ne ha abolite, mentre ha allargato la partecipazione ad altre, inserendo gironi e quant´altro? tutte cose che forse piacciono ai tifosi, ma a mio parere snaturano il senso di queste competizioni. Molto meglio quand´era ´dentro o fuori´? e via. Com´era appunto in quell´occasione: quarti di finale, ma anche terzo turno a eliminazione diretta. Incontravamo un Bayern Monaco veramente forte. Noi era da poco che facevamo esperienza a livello internazionale e, quindi, tutte le partite che affrontavamo erano molto difficili, non essendo attrezzati per quel tipo di pressione.
Avevate pur sempre disputato la Coppa dei Campioni, l´anno prima, arrivando fino in fondo…
Sì, ma era comunque la prima esperienza. Non eravamo abituati, ad esempio, alla fisicità degli avversari, alla loro intensità di gioco, o all´approccio delle partite, come era invece per il Liverpool, o per lo stesso Bayern. Una squadra che aveva campioni come Matthaeus, Augenthaler, Hoeness, Pfaff.
Non era andata bene all´andata, due settimane prima. La Roma aveva perso 2-0 a Monaco, con i gol di Augenthaler e Hoeness.Mentre al ritorno?
All´Olimpico andò sicuramente meglio, anche se perdemmo di nuovo (1-2, per i tedeschi segnarono Matthaeus e Koegl, ndr). Fu però una gara diversa. In una cornice meravigliosa, come al solito.
Il tuo gol, quello del momentaneo pareggio, arrivò a una decina di minuti dal termine. Ci speraste, a quel punto, di riprendere la partita?
Il gol fu una botta da fuori, sotto il diluvio e nel pantano. Più per rabbia e disperazione, che altro. Se a quel punto ci abbiamo sperato, sinceramente, non me lo ricordo. Ma la voglia di uscire con dignità, a testa alta, quella di certo non è mai mancata. Sapevamo di avere di fronte una squadra fortissima e che non sarebbe stato facile guadagnarsi la qualificazione dopo il risultato dell´andata. Ci siamo però comportati abbastanza bene. E, soprattutto, la gente ha capito…
Il pubblico vi ha sostenuto per tutta la gara. E ancor più nel secondo tempo, quando intonò quel coro, improvvisato allora, che coinvolse pian piano e ininterrottamente tutta la curva, e buona parte dello stadio, fino al 90´.
Lo sentivamo, eccome. E ricordo come i tedeschi fossero letteralmente stupiti di quell´atteggiamento…
Al termine, le dichiarazioni del tecnico, Udo Lattek, e di alcuni giocatori furono infatti di grande ammirazione per quel pubblico. E quasi di invidia, non avendone uno simile.
La riprova che quello italiano è unico. E quello romanista ancora di più. Un tifo che si avvicina un po´ a quello inglese, mentre negli altri paesi non sono abituati a cori o manifestazioni di quel tipo.
Una Roma, quella di allora, che ripartiva da Eriksson dopo gli addii, in estate, di Nils Liedholm e Agostino Di Bartolomei, e che si sarebbe apprestata a salutare, a fine stagione, anche Paulo Roberto Falcao. Che squadra era?
Non eravamo forse straordinari come quelli di qualche anno prima, ma era pur sempre una buona squadra, con ottime individualità. Soprattutto, cambiata e molto: prima si pensava solo a tenere palla e i ritmi li decidevamo noi, mentre con Sven Goran si è certamente velocizzato il gioco. Insomma, non eravamo poi così malaccio…
Tu hai seguito quest´anno, per Mediaset, Bayern-Roma. Quanto è diversa anche questa partita di ritorno rispetto a quella giocata a Monaco, tenuto conto che nell´arco di qualche settimana la Roma sembra aver finalmente trovato un proprio assetto tattico definitivo?
Commenterò anche questa. Quella fu una non-partita, un rinunciare continuo, pensando solo a fare una fase, quella difensiva. Probabilmente, perché non c´era benzina in corpo e la squadra non era a posto. E lo si è visto, non solo in quella partita, ma anche in altre di quel periodo. Adesso la squadra sembra stare meglio, il Bayern ha dalla sua la classifica nel girone e, quindi, potrebbe risultare una partita ´molto meno complicata´. Però, mai fidarsi dei tedeschi. Anche se le condizioni, obiettivamente, sono un po´ cambiate.
Che Roma ti aspetti?
Una squadra che, come quella dell´85, scenda in campo con la voglia di dimostrare, anche al Bayern, che quella dell´andata non era la vera Roma. Non è solo spirito di rivincita, ma di dignità professionale, vista la pessima prestazione di Monaco. È per questo che sarà tutta un´altra gara.