Una cena per rinascere o almeno per non finire in un bivio. Ieri sera la Roma si è riunita all’Eur per mangiare tutta insieme e dare un segnale di unità.
A organizzare il tutto è stato Osvaldo su consiglio di Totti, che già dopo la sconfitta interna contro il Cagliari si era fatto promotore della stessa iniziativa.
All’ambiente giallorosso queste cose piacciono. Piace vedere che i propri idoli davano d’accordo e diano un’immagine amichevole e amicale di un gruppo, che stenta a decollare.
Il problema di questa Roma non è come in passato che ognuno remi dalla propria parte o che in campo non si faccia ciò che chiede l’allenatore. Allenatore che, al di là delle dichiarazioni di facciata, non è più intoccabile.
Qualche dubbio sta venendo in seno alla dirigenza di Trigoria e soprattutto al ds Walter Sabatini, che dopo la sconfitta di Udinese non si è detto d’accordo (e non è la prima volta) con alcune scelte di Luis Enrique, la cui panchina non è più così salda. La questione non è solo di natura tecnico-tattica, ma anche gestionale.
Il caso Osvaldo dato in pasto alla stampa è per molti la cartina di tornasole di un mister, che non solo sta imparando a conoscere il calcio italiano, ma sta imparando il mestiere. Il fascino del progetto non è in discussione: gioco aggressivo, possesso palla e voglia di fare la partita.
Semmai lo è il modo in cui viene messo in pratica, che ricalca molto poco le intenzioni. Per questo a Firenze bisogna cambiare definitivamente marcia per cambiare una rotta che in casa Roma sta iniziando a preoccupare. Per tutti, dirigenti, staff tecnico, calciatori in questo caso, se le cose non vanno bisogna avere il coraggio di cambiare. L’ottusità o l’ubbidienza cieca verso le proprie idee non devono diventare i marchi di fabbrica con cui amministrare la nostra Roma.
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