Da Il Corriere della Sera:
“L´Aquila non la fanno volare, eh, ma io vorrei piazzarla sotto la Nord, e per novanta minuti. Ci riuscirò, ah ah”. E sorride in un modo, Claudio Lotito, con un´espressione così ingenua che potresti vederla sul viso di un bambino all´Olimpico durante il volo di Olimpia. Magie del rapace che pare abbia cambiato l´atmosfera dello stadio, forse. O forse è vero che è cambiato anche lui, il presidente. Così contestato – “finché vivrò odierò Claudio Lotito”, cantavano i tifosi. Ridotto a macchietta dalle imitazioni televisive. Criticato da alcuni presidenti che però, va ricordato, prima lo irridevano e poi l´hanno copiato (tetto sugli ingaggi, prestiti onerosi con diritto di riscatto…). Forse è cambiato anche lui, adesso: a Palermo, per dire, era allo stadio col figlio Enrico, un bimbo con la sciarpa biancoceleste al collo. A fine partita si sono abbracciati, padre e cucciolo, offrendo a telecamere e fotografi una scena inimmaginabile fino a qualche mese fa.
Lotito, scusi la domanda: ma è vero che lei era romanista come Paolo Di Canio ha raccontato a Chiambretti?
“Non scherziamo, so´ laziale da quando ho cinque anni. Per via di una tata e del suo fidanzato, una vita fa”.
Ricostruiamo tutto. Lei nasce a Roma, in una clinica dei Parioli. Poi? Si racconti: da quale mondo proviene?
“Poi vado a vivere sulla via dei Laghi, con la mia famiglia. Mamma professoressa di Lettere e papà carabiniere. Ecco, mio padre: lui mi ha sempre insegnato che il patrimonio non è fatto di denaro, ma di intelligenza, educazione, cultura. Mamma molto cattolica, suo padre autore di libri, avvocato senza esercitare, aveva terre e bestiame. Per sintetizzare: c´era lo spirito romantico, ottocentesco, di papà e quello più pratico di mamma. E questi due mondi hanno partorito ´sto soggetto, che so´ io. Anche se poi io penso di rappresentare bene il carattere delle regioni che ho nel sangue: di buon cuore come i laziali, permaloso e ospitale come gli umbri, orgoglioso e di parola come i calabresi, tenace come gli abruzzesi, dedito al lavoro come i marchigiani, profondo come i pugliesi».
Racconti la prima assemblea di Lega. Che anno era?
“2004. Ma ciò che tengo a dire è che adesso io, in rappresentanza della Lazio, sono uno dei sette membri del comitato di presidenza della Figc”.
E però, presidente, lei nel corso dei primi anni nel calcio non ha fatto altro che parlare in tv? Non considera eccessiva quell´esposizione?
“Sì, certo: ma io volevo cambiare le cose, e l´unico modo era quello. Non arrivare in punta di piedi”.
I primi anni nel calcio sono stati difficili?
“Sì, e avvincenti. Dormivo un´ora a notte, forse due. E poi c´era l´assalto alla diligenza, tutti i creditori che venivano…”.
Squilla di nuovo il telefono, voce maschile, probabilmente domanda un lavoro. E Lotito: “Mi dispiace, niente. Ma vuoi i biglietti per il derby?”. Il disoccupato, ignaro della coda dei potenti a caccia dell´entrata al derby, dice di no.
Lotito, parliamo della squadra. Qual è il suo giocatore favorito? Dica la verità però…
“La verità è che da Floccari a Dias, da Hernanes a Zarate, da Biava a Bresciano a tutti gli altri: sono bravi ragazzi, incarnano lo spirito della Lazio, mi rendono orgoglioso. E non sto parlando dei risultati. Ma di ciò che, spero, si possa insegnare ai bambini che vengono allo stadio. Noi siamo la prima squadra della Capitale, siamo la storia del calcio a Roma, la nostra società professa meritocrazia e sacrificio. E non si tratta solo di sport: il giovane di oggi sarà il futuro cittadino”.
Presidente, è giorno di derby: la differenza più vistosa con la Roma.
“Noi nella gioia non siamo mai sguaiati, e affrontiamo la sofferenza con dignità e compostezza. Ma sono troppe, le differenze…”.