ROMA PER SEMPRE. Nascere a Corropoli e morire al Flaminio. La vita di Italo Foschi, primo Presidente della storia giallorossa, arriva al capolinea per lo stesso motivo che ne aveva suggellato l’essenza. Di Roma ci si vive – lo raccontano i cuori capitolini che pulsano all’unisono tra i cunicoli della Capitale, le ansie che fermano il tempo quando si riempie l’Olimpico, le generazioni che si passano il testimone di una passione “per amore solo per amore”. Poi, tra le casseforti di biografie che appartengono alla storia di un mondo antico come nulla di simile, grande così, scopri che di Roma ci si può anche morire. Allora, cambia la prospettiva e si modifica la visuale nel tempo in cui il flusso degli eventi mette nelle condizioni di trovare assonanza tra vocaboli distanti come il giorno e la notte. Come la Lazio e la Roma.
ANCORA SAMPDORIA. Perché, accostare “morte” e “amore” non continua a essere un mero esercizio poetico di cui sarebbero capaci, semmai, i cantastorie ma diventa la presa d’atto di una vita avvolta da vessilli pigmentati di giallo e coloriti di rosso. Non succede, ma se succede che un giorno di marzo alla vigilia della primavera del 1949 il primo Presidente della storia calcistica della A.S. Roma capitomboli a terra per un infarto dopo aver saputo che la sua squadra stava perdendo a Genova per 2-0 contro la Sampdoria, si corre il rischio che più d’uno – tra i romanisti domiciliati sotto il Cupolone – incappino nella stessa sorte. Ancora i blucerchiati a corrodere la gloria della Magica, le solite due marcature a determinare silenzio di tomba. Avrà pure buttato un occhio, da lassù, Italo Foschi dopo il triplice fischio di Damato. E se non è morto un’altra volta – Pazzini, gol; Pazzini, gol – è solo perché avrà imparato a riderci sopra. Alle beffe del destino.
ITALO FOSCHI. Quindici minuti del tempo di un romanista, ne vale la pena. Un racconto semplice e lineare, a tal punto rettilineo che anche i sogni, a un certo momento, sarebbero stati incapaci di immaginarlo. Per un capitolino, sta nell’ABC da imparare una volta e non scordare più. A tutti gli altri, l’ho già detto. E’ anche una storia da perderci un chilo al secondo.
Viscerale come i passi dei primitivi, con l’irrazionalità dei fiumi in piena. Bella di una bellezza carnale ma poi tanto lineare e cristallina che neppure il Candido. Di Voltaire. Ci sono date e località geografiche, attimi che non se li porta via nemmeno la tramontana, suggestioni a cui non si potrebbe opporre manco Niccolò Ghedini, personaggi che fanno parte dei libri di scolastica. E gol, parate, dribbling e incursioni, fughe sulle fasce laterali, interventi degli stopper a falcidiare l’avversario, gocce di sudore sempiterne come i monumenti dell’Impero. E battiti; pulsioni irrinunciabili come la verità, prorompenti più delle maree, da assecondare senza via d’uscita secondaria. Le gioie prive di misura e la tristezza dei motori che non ingranano. Organi vitali tanto deboli e cagionevoli quanto illimitati ed esclusivi. Che tanto – direbbe Coelho – nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni.
Nel sessantaseiesimo giorno del Calendario Gregoriano, il 7 marzo di un mese che abbondò per piogge: il 1884 regalò in casa Foschi un raggio di sole messo lì a infischiarsene della meteorologia. Maria Addolorata e il marito Emanuele, divennero genitori di un maschio in buone condizioni di salute. Pescando a mano aperta nella mitologia italica, memore di cotanto Re, oppure incarnando con tempismo invidiabile il corso storico di una nazione che venne fatta ancor prima che se ne formassero i cittadini, il maestro elementare decise che suo figlio si sarebbe chiamato Italo. Foschi Italo, legato con cordone ombelicale al recentissimo Risorgimento, quando le camicie verdi – se già c’erano – stavano solo a rivendicare alla sorte quel tocco di speranza in più.
CORROPOLI, ITALIA. Appennino e vallate che scivolano gradualmente verso la costa adriatica. La parte settentrionale dell’Abruzzo accoglie la provincia di Teramo e, se verso nord lambisce i confini delle Marche, man mano che si procede a oriente confluisce nel mare. Ci stanno il Gran Sasso d’Italia e il massiccio della Laga, il Corno Grande che sfiora i tre metri di altezza e il ghiacciaio del Calderone. Boschi, gole e cascate attraverso cui, negli anni recenti, è stato realizzato il Corridoio Verde Adriatico, una pista ciclabile che consente di attraversare, in bici, ciascuno dei comuni interessati. In cima al cucuzzolo della provincia teramese, svetta Corropoli. Paese natale di Foschi. In Italia era già iniziata qualche anno prima l’epoca della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis, il quale avviò politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese attraverso investimenti ingenti nell’istruzione pubblica, nelle infrastrutture e nell’industria nazionale. Lo stivale smise di credere nel legame, fin lì mai in discussione, con la Francia (l’occupazione transalpina della Tunisia incrinò ogni rapporto) e aderì alla Triplice Alleanza, con Germania e Impero austro-ungarico. Prima di intraprendere una politica colonialista e finire a occupare Massaua, in Eritrea. A Currùppië, dove gli uomini facevano i contadini e le donne si prendevano cura – con la stessa attenzione – della casa e dei figli, gli avvenimenti della Storia da salotto si conoscevano a malapena. Forse in qualche casa, in qualche caso, nulla più. La vita era, al tatto, ruvida come i calli sulle mani dei maschi adulti; alla vista, sciupata come i volti di femmine che rigovernavano e procreavano.
I corropolesi: persone schiette, che non dimenticano ma sanno perdonare. Nel nome e su esempio di Sant’Agnese, celebrata con feste e processioni dall’alba al tramonto in occasione di ogni 21 gennaio. La festa delle male lingue, suggerisce la tradizione, per il fatto che in tempi remoti gruppi di compagnoni e paesani iniziarono a interpretare il momento del ritrovo in locanda o in osteria per muovere critiche ai signori più in vista. Quell’abitudine, ad alcuni di loro, costò un esilio temporaneo: accadde il 21 gennaio, giorno di sant’Agnese. Il rientro in città valse loro una promessa che non trasgredirono neanche col pensiero: basta pettegolezzi tra i confini comunali. Tra quella gente; crescendo a pane e disciplina, rigore e principi, Italo Foschi inizio a far suo il concetto che ne avrebbe contraddistinto la vita. Disse a suo tempo Dante che forte come la morte è l’amore. Messo così, a cavallo tra il pragmatismo di un’esistenza di sacrifici e la bontà d’animo dei cuori privi di malizia. Prese corpo a Corropoli – tra l’Abbazia S. Maria di Mejulano e il Monastero di Gabbiano, tra la Torre Campanaria e il castello baronario – la storia del primo presidente della A.S Roma.
LA GUERRA, LA POLITICA. Fin da adolescente, appassionato di sport e praticante di differenti discipline. La tradizione e il tatticismo della lotta greco romana, innanzitutto, ma anche scherma e calcio: con il pallone tra i piedi, Italo faceva sera inoltrata prima di rincasare. Col tempo, gli interessi del Foschi virarono in maniera evidente verso la politica: poco propenso a lasciar fare, cominciò a occuparsi di cose pubbliche, arrivando a confluire l’interesse personale nella voglia di prestare un servizio alla comunità. L’impulso di interpretare in maniera attiva il corso politico fu direttamente accresciuto dall’esperienza drammatica della Prima Guerra Mondiale cui prese parte nelle file dell’interventismo e del nazionalismo. Gli toccò in sorte di rimaner ferito in diversi momenti del conflitto, combattè con il massimo dell’impegno, subì l’esperienza della cattura e dell’arresto. Prima che, tra le maglie degli italiani, si infiltrasse – a poco a poco – il fascismo di cui Foschi fu militante di prima specie. Prese di coscienza, convinzioni personali e un percorso di vita che si porta avanti da sé: più di un interesse, per Italo Foschi, e una sola, grande passione la cui intensità non faceva che crescere con il passare dei giorni.
SOGNI E MILITANZA. Il gioco del calcio. Più forte ancora della propulsione a fare politica, causa vera delle nottate passate a inseguire l’alba. Se con la vita di partito, Foschi dava seguito alla componente di sé più razionale e metodica, riflessiva e pragmatica, è fiondandosi nel gioco del calcio che riusciva ad appagare la voglia di realizzare quei sogni che ormai gli appartenevano interamente. L’approccio vero e proprio al contesto calcistico arrivò alla soglia dei 40 anni, quando prima partecipò alla fondazione della Sambenedettese (nata nel 1923, in seguito alla fusione di tre squadre) e poi si avventurò nella nascita della Società Sportiva Giuliese, l’anno dopo. Sport e società, calcio e politica. Una carriera costruita un passo alla volta fondendo le due mission di una vita. Da una parte il proficuo percorso nel campo del pallone, dall’altro la sempre più solida cooperazione con il Partito Nazionale Fascista, il cui segretario – Roberto Farinacci – optò proprio per l’abruzzese nel momento in cui occorse indicare un Federale dell’Urbe. Il partito aveva ramificazioni provinciali, in ciascuna provincia insisteva una federazione dei fasci di combattimento, ovvero articolazioni organizzative riconducibili alla struttura territoriale del partito stesso. Nel 1923 Foschi assunse l’incarico e si mise in luce per diverse iniziative riconducibili in prima persona al corropolese trasferitosi in Roma: fu tra i finanziatori e direttori del settimanale dei GUF Roma fascista (fondato il 19 luglio 1924) e strenuo sostenitore della politica antimassonica riconducibile a quel frangente storico.
CARTA DI VIAREGGIO, CALCIO MODERNO. Tentò di garantire un’organizzazione più efficace alle attività sportive capitoline istituendo l’Ispettorato Sportivo della Federazione dell’Urbe; membro Coni, fu tra i fautori e padri putativi della stesura della Carta di Viareggio, documento pubblicato il 2 agosto 1926. Passaggio cruciale: il libro Sacro dell’organizzazione calcistica che proprio con le tesi di Viareggio si apprestò ad assumere sembianze e regolamenti conservati fino a oggi. Venne ristrutturata la Figc; fu ricostruita l’intera architettura dei campionati con riunione delle leghe Nord e Sud in una sola Divisione Nazionale; venne introdotto il concetto di professionismo; furono attribuiti contenuti specifici e regole al calciomercato. Per lo sport più seguito dagli italiani, fu una rivoluzione. In termini teorici nonché nella sostanza: aprire a scenari non più circoscritti, allargare i confini di interesse e mettere l’una contro l’altra squadre riconducibili a tutta la Penisola fu passaggio significativo e dal punto di vista sociale e dal punto di vista sportivo. Nacque un altro calcio: quello in cui le società iniziarono a fondersi per dare vita a un unico club, in grado di competere su scala nazionale. La nuova prassi prese piede ovunque: da Napoli a Genova, da Firenze a Bari. Passando, altrochè, pure per la Capitale.
PRELUDIO. Dove Italo Foschi, anzi l’Onorevole, è un riferimento importante per gli amanti del calcio. Già Presidente della Società Fascista Fortitudo Pro Roma, l’abruzzese diede seguito al panorama suggerito dai nuovi scenari e provò a interpretare nel migliore dei modi ogni passaggio immediatamente consequenziale. Si parte pur sempre da un’idea. Maturata, ponderata, sviluppata nelle possibili conseguenze. E il genio di Foschi si illuminò come un lampione che scatta a comando meccanico. Partire dall’esistente: la Società Fascista Fortitudo Pro Roma, l’Alba Audace, il Roman Football Club e la Lazio. Fare di quattro nuclei distinti un’unica struttura. Dialogare, scambiare opinioni, mettersi a tavolino e riflettere intensamente. Fondere il poker laziale in un solo, coeso club. Le trattative vennero avviate in fretta. Chiacchierate a quattro: Foschi per la Fortitudo, l’onorevole Ulisse Igliori per l’Alba Audace, l’avvocato Vittorio Scialoja per il Roman Football Club e Giorgio Vaccaro per la Lazio.
Quel che accadde in quei giorni concitati e frenetici fa parte degli annali, sta scritto nelle pagine della storia del calcio italiano, è impresso come un logo di identità in ciascuno dei giorni che contraddistinguono il corso della società giallorossa. Ne abbiamo ricostruito i momenti salienti con un lavoro di ricerca d’archivio, recupero di frammenti di giornali rimasti negli scantinati delle redazioni.
Su quella notte, e il giorno successivo, e la sera immediatamente ravvicinata qualcuno potrebbe costruire un lungometraggio. 6 giugno 1927. E il dì di seguito, 7 giugno.
A.S. ROMA. Rimaneva da convincere la Lazio, unico tra i quattro club a mostrare resistenza. A dettare condizioni sparati a mo’ di ultimatum. La sera del 6 giugno l’esodo in trasferta (dalla sede di piazza Adriana) di sei rappresentanti dell’allora Fortitudo – convocati negli uffici della Lazio, Via Tacito – si concluse con la presa d’atto che, a proseguire nel percorso di fusione, sarebbero state solo tre società. A quel punto, ne prese coscienza anche il regime, desideroso di trovare un punto di comunione. Nel sestetto che fece rientro alla base, Italo Foschi non c’era. Aveva mandato in avanscoperta soci ed emissari. Perché, in realtà, l’aveva già capito. Con Giorgio Vaccaro non si sarebbe trovato alcun accordo. Bastò il diktat di quest’ultimo, per portarlo verso la decisione da prendersi.
“Il nuovo club deve chiamarsi Lazio Fortitudo”, parole di Vaccaro.
“Non se ne parla. Il nome c’è già: Associazione Sportiva Roma”. Replica secca, decisa di Foschi: nessun margine di trattativa. In quelle tre parole, era inclusa ciascuna delle caratteristiche che avrebbe dovuto trasmettere la nascente società: impregnata di passato e tradizione – l’Associazione Sportiva – con un occhio spalancato sul futuro, da costruire dopo aver voltato pagina. Roma stava lì proprio per rappresentare quel futuro; la novità a cui garantire una investitura ufficiale. La gloria da portare nei secoli. Dei secoli.
Bastò un rendiconto nemmeno troppo dettagliato – lo fece l’avvocato Righini, uno dei sei presenti in via Tacito – di quanto accaduto nel corso della riunione per dare a Foschi la spinta necessaria a muoversi per un sentiero già segnato. Servì l’ultimo dettaglio – ovvero, l’impossibilità di trattare – per ripercorrere con passi veri quel tragitto già solcato mentalmente. C’era bisogno di fare in fretta per evitare possibili intromissioni dei potenti. Del Palazzo. Del partito. Che avrebbe potuto costringerlo a un accordo forzato con Vaccari e la Lazio.
Da qui in avanti, il tempo reale si fa meno certificato, rendiconti oggettivi non ce ne sono (ci fossero, non sono stati trovati) e ogni cronistoria non può che essere generica, nel tentativo di focalizzare il concetto.
7 GIUGNO, MATTINA. Foschi contatta Renato Sacerdoti, dirigente del Roman e di mestiere, banchiere del “Banco Sacerdoti”. A lui, il compito di reperire i fondi da destinare nel nuovo progetto. 500 mila lire arrivarono dall’istituto di credito, altre 50 mila dal Banco Crostarosa. Nelle ore successive, fu proprio Sacerdoti ad assemblare la documentazione necessaria per siglare l’accordo. Poi, l’incontro.
Presso via Forlì 16, in casa di Foschi.
Oltre al referente della Società Fascista Fortitudo Pro Roma, erano presenti anche Ulisse Igliori, presidente dell’Alba-Audace e Vittorio Scialoja, in rappresentanza del Roman Football Club. Fu questione di sguardi, di firme, di brindisi. Era appena nata la A.S. Roma.
Primo Presidente ufficiale, eletto per nomina, Italo Foschi.
Primo ordine del giorno, il 22 luglio dello stesso anno.
SPICCIOLI DI VITA VISSUTA. Il sogno. Di una vita intera. La passione. Che alimenta l’esistenza stessa. Poi, la Seconda Guerra Mondiale. Vissuta fino in fondo nello schieramento che ne aveva contrassegnato l’intero percorso. Tutto il resto, circostanze – frammenti – ripartenze, fa da contorno. Incluse le dimissioni da federale (1926); la successiva rinuncia alla presidenza della Roma (gli successe Renato Sacerdoti) per rispondere alla nomina di membro del direttorio a La Spezia; l’incarico di commissario prefettizio, dal 24 settembre al 20 ottobre 1943, a Belluno. La Liberazione del 25 aprile 1945 portò alla condanna – della Storia, della Giustizia, della Morale – di Foschi e di quanti, come lui, servirono la causa della Repubblica Sociale Italiana.
IL CUORE, GIALLOROSSO. Proverbiale capacità di organizzazione. Uomo di media statura e piuttosto magro. La memoria fotografica ne ha tramandato immagini nelle quali lo si vede fumare, indossare occhiali pince-nez, assumere espressioni formali. Morì in solitudine, in un periodo storico che non poteva più appartenergli per evidente dissonanza tra gli ideali sostenuti fin dalla nascita e il risultato cui portò quello stesso credo.
Morì solo, all’età di 65 anni, un pomeriggio che al Flaminio c’era il sole e che la Roma giocava in trasferta a Genova. Contro la Sampdoria. Che ci facesse al Flaminio, vattelappesca. Ma era lì, in tensione come capita a ciascuno dei tifosi giallorossi quando è giorno di partite.
A un certo momento i doriani fecero il secondo gol. La Roma perdeva 2-0. Lo annunciò la radio. La notizia giunse anche a Foschi. E lì, fu un attimo. Il cuore non resse. Sincope mortale al Flaminio, il 20 marzo del 1949. Meno di quindici persone al funerale.
Ma quei tempi – volenti o nolenti – non erano più adatti a uno come Foschi. Per i trascorsi, per gli ideali, per le convinzioni personalissime che trovarono condanne in ogni angolo del prossimo futuro. Il mondo ripartì, escludendo a priori quelli come Italo Foschi. Artefici di un passato che fu necessario – doveroso – archiviare in fretta nel nome della Repubblica. Sotto gli impulsi della democrazia.
Solo la Roma, negli ultimi tempi dell’esistenza del primo Presidente giallorosso, continuò a rappresentare un motivo per vivere.
Perché, a prescindere da ogni altra riflessione, Italo Foschi è e resterà sempre il principale sostenitore, nonché co-fondatore, della magica storia capitolina.
Nascere a Corropoli e morire al Flaminio. Diventare romano con gli anni. Crollare al suolo “per amore solo per amore”. Una vita avvolta da vessilli pigmentati di giallo e coloriti di rosso.
Da raccontare perché parte integrante, fondamentale di una storia sportiva che ha contribuito e non smette mai di farlo a dare lustro al calcio italiano.
In questo, scevri da giudizi d’altro tipo, incapaci di considerazioni morali.
Solo, dirlo ai posteri. Di Italo Foschi. Primo presidente della A.S. Roma.
Auden Bavaro