L’intervista rilasciata da Claudio Ranieri a Sporteconomy:
Mister, in che cosa si differenziano serie A italiana, Liga spagnola, Premier league inglese (dove lei ha lavorato allenando top club del calibro di Chelsea, Valencia, Roma e Juventus) sotto il profilo degli stadi, della managerialità delle società e del rapporto/stile con i tifosi?
“Nel mondo del calcio molto ancora è determinato dai soldi. Negli ultimi anni i club spagnoli hanno fatto operazioni importanti, grazie ai contratti derivanti dai diritti tv; gli inglesi hanno spinto molto sulle opportunità offerte da fiscalità più favorevole rispetto a quella presente nel nostro Paese. L’Italia, da questo punto di vista, sta scontando una situazione sfavorevole in entrambi i campi. Il denaro guida sempre e comunque…Solo l’Inter riesce a sopperire in questo momento al gap esistente (nel confronto con i top club stranieri). Il Barcellona, invece, è un caso a sè. Ogni anno compra 1-2 campioni, ma tutto il resto arriva dal vivaio e questa politica sta pagando fino a oggi. In serie A questa politica è difficile da attuare, perchè si vuole tutto e subito. Il tema stadi? Sì servono sicuramente stadi nuovi, ma anche i tifosi devono capire che il calcio è socializzazione, aggregazione e spettacolo. Fa male vedere azioni di guerriglia fuori e all’interno degli impianti. Mi piacerebbe vedere come all’estero famiglie di opposta fede calcistica che tifano in modo opposto, ma senza mai superare certi livelli di comportamento”.Cosa pensa del clima molto “acceso” che c’è a Barcellona a poche ore dal match clou di Champions? Dall’Italia come commenta questa singolare campagna mediatica anti-Inter. E’ nello stile del Barça?
“Sinceramente credo che domani sera non si arriverà mai a qualcosa di estremo. Sarà una partita molto tattica, difficile, ma sempre nel rispetto delle regole. Hanno accentuato, sotto il profilo della comunicazione, il concetto di “vendere cara la pelle”, per chiamare la tifoseria a raccolta, ma vedrete che sarà una partita corretta”.
Cosa vorrebbe portare dell’esperienza estera nella società che sta allenando attualmente?
“Il gusto del possesso palla degli spagnoli e la sportività del pubblico inglese sugli spalti e all’interno degli stadi”.
Il ruolo del manager stile Ferguson è auspicabile in Italia e cosa serve per vederne finalmente la luce?
“Direi di no. Siamo un altro modello di calcio e va bene così. Da noi sono centrali i DS e i DG, non potrebbe essere altrimenti. Non siamo strutturati come nel calcio inglese. Ferguson ha raggiunto determinati risultati nel tempo, anno dopo anno. In Italia oggi è impensabile”.
Che Roma sarà il prossimo anno, in ottica Champions? Sarà una nuova Roma o l’ossatura della squadra è questa che ha trovato arrivando nella Capitale?
“Le squadre si costruiscono in relazione alle disponibilità delle società. Vale per qualsiasi club di calcio. Siamo arrivati a questo punto, grazie ai sacrifici dei miei “ragazzi”. Per il futuro cercherò calciatori che diano il 110% in campo, con un forte senso di appartenenza e di adattabilità al sacrificio. Sì, cercherò questo tipo di calciatore per la Roma della prossima stagione”.
Il giorno della gara sente la responsabilità, non solo sportiva della partita? Mi spiego meglio: vincere o non vincere, conquistare o meno un titolo può modificare a fine stagione anche il bilancio della Roma. Qual è la sua opinione al riguardo?
“In linea di principio sento molte responsabilità, come per esempio quella di far realizzare i sogni della tifoseria giallorossa o anche le difficoltà economiche del tifoso-tipo di calcio (soprattutto se si pensa alle ristrettezze economiche di molte famiglie, ndr), ma alla fine sono un “uomo di sport” e quando vado in campo penso soprattutto a far giocare la mia squadra nel mondo migliore”.In Spagna ha visto il modello dell’azionariato popolare? Cosa ne pensa nel concreto?
“Sì, l’ho toccato con mano nella mia esperienza al Valencia. E’ una cosa bella, simpatica, soprattutto se si pensa a una partecipazione popolare di quel tipo, però non conosco le normative italiane sul tema e mi fermo quì nel giudizio globale”.