David Pizarro, il Pek. Classe 1979, nato a Valparaiso, si racconta sulle pagine de Il Messaggero confidando che – dopo i prossimi tre anni alla Roma – l’intenzione è di chiudere la carriera in Cile, prima di dedicarsi anima e corpo alla famiglia. Il metronomo giallorosso, pupillo di Luciano Spalletti verso cui la stima è prontamente ricambiata, riesce a spaziare a 360 gradi e affronta piùà di un tema interessante: la cura Claudio Ranieri, i problemi socio-sportivi della droga e del razzismo, gli obiettivi perseguiti, quell’istante di Cagliari nel quale gli è scoppiato un petardo lì lì a due passi, il rapporto con i tifosi e quello con i compagni.
IL FUTURO. “Dopo quattro stagioni già disputate con la maglia della Roma (105 presenze per sette reti ndr) e le tre messe in cantiere, ci saranno un paio di campionati nel mio paese prima di smettere. Voglio passare un po’ di tempo con me stesso e la mia famiglia, stare a casa per i compleanni, per le feste, come una persona normale. Una volta riposato, mi dedicherò al sociale. Voglio occuparmi dei giovani del mio quartiere a Valparaiso, Playa lancha. Giovani che hanno problemi seri con la droga, con la cocaina. Ce ne sono alcuni, di tredici anni, che vivono con lo sguardo perso nel vuoto, li chiamiamo gli allucinados. Non sanno che fare, dove andare. Si possono aiutare attraverso lo sport, per tirarli fuori da questa situazione bruttissima“.
PETARDO A CAGLIARI. “Mai pensato di uscire. Se l’avessi fatto, non me lo sarei mai perdonato. Pensavo solo a rientrare, nulla di più. Anche se poi ho accusato, ho giocato con un continuo fischio nell’orecchio. Se dopo la mia sostituzione la Roma ha subito la rimonta, è solo un caso anche perchè il primo gol sardo era da annullare“.
PIZARRO E SPALLETTI. “Ho sofferto la partenza di mister Spalletti: come uomo mi ha dato molto, anche se ero più legato al suo staff. Lui non lo sento dal giorno in cui se n’è andato. La sua Roma ha giocato un calcio eccezionale, ha sfiorato lo scudetto. E poi, nessuno si aspettava la sua partenza, ci ha sorpreso molto. Si era parlato di progetti, ma io ho capito che nel calcio, questa parola, non esiste. Perché bastano tre risultati negativi e nessuno se la ricorda più. Va tutto a monte con poco, altro che progetto. Però quella squadra non riusciva più a fare il calcio di prima, non era facile continuare. Un fatto di testa. Nostalgia del mister non ho intenzione di raggiungerlo. ma Mia moglie e i miei figli stanno bene qui. Anche io. Sono un pigro, odio gli spostamenti, i traslochi. Non ce la farei. Ma al di là di questo, a Roma sto benissimo davvero“.
PIZARRO E RANIERI. “Ora, con Ranieri va bene, siamo tornati ai nostri livelli. Ci siamo sbloccati. Mister Ranieri è diverso da Spalletti, la cui squadra in campo aveva solo il biglietto di andata: si pensava ad offendere, ad andare tutti avanti, per il ritorno ci si doveva arrangiare. Prendevamo molti gol in contropiede. Adesso, con Ranieri, siamo più razionali, più corti e accorti. Di sicuro meno spettacolari. All’inizio giocavo in maniera diversa, laterale del rombo. Lì è meglio uno con un’altra gamba, tipo Perrotta. Ora sono tornato a fare il perno davanti alla difesa e va meglio per me e per De Rossi, che può segnare più gol. Sfrutto la capacità di leggere in anticipo le azioni. Altrimenti nello scontro fisico soffro“.
PIZARRO E FALCAO. “Non sta a me fare paragoni ma sento degli accostamenti che vengono fatti: Pizarro come Falcao, De Rossi come Cerezo. Grazie, ma non sta a me dirlo Diciamo che mi piacerebbe vincere quello che hanno vinto loro. Per me conta il riconoscimento del gruppo. E devo dire che sono stimato da tutti“.
I TIFOSI. “Se sia sottovalutato dai tifosi non mi importa. Io non sono uno bravo nelle pubbliche relazioni, non sono un uomo da telecamera. Quando finisco di lavorare, vado a casa e spengo tutto. Il resto non mi interessa. Se andassi appresso a queste cose, diventerei pazzo. E non è possibile“.
CALCIO, SPORT E LAVORO. “In Italia il calcio è un lavoro (per questo uso sempre questa parola pensando al mio mestiere), non più un divertimento, come in Spagna e in Inghilterra. Si vive di passioni e business e se sbagli due partite te lo fanno pesare. Come fai a definirlo divertimento? Ricordiamoci Calciopoli. C’era l’esigenza di vincere per forza. Perché vincere porta soldi, il resto – per troppa gente – conta poco“.
MENTALITA’. “La rovina del calcio è il business. Troppi soldi. Mal gestiti. Quando avevo diciannove anni guadagnavo a Udine più o meno duemila euro al mese, ora ai giovani mettono in mano fior di milioni. E poi ci stupiamo se uno si sente come un Dio e perde di vista l’essere ragazzo. Già lui non si diverte più. Esasperato anche il tifo organizzato: noi qualche tempo fa ci siamo limitati a subire qualche petardo, anche se beccarseli alle tre di notte non è stato proprio il massimo. Quello che è successo a Torino non va bene. Si rischia di valicare il limite del consentito. Se i granata vanno allo sciopero, hanno ragione. Così deve essere per tutti“.
RIDIMENSIONAMENTO. “Non voglio nemmeno pensarci, non mi piacerebbe ritrovarmi in una squadra come era prima del mio arrivo. Io piuttosto vedo un futuro in Champions e una società senza problemi. Pur sapendo che nella Roma ci sono solo due giocatori intoccabili, che non si muoveranno mai, gli altri sono sempre in bilico. Come vede torniamo al discorso dei progetti, che non si possono fare. Io a Roma sto bene, però mi piace anche lottare per grandi traguardi. L’Inter ha tre squadre a disposizione, spende più di tutti. E vince facile. Ora, per esempio, hanno Eto’o che va in coppa d’Africa e loro non è che lo aspettano, ne comprano un altro. Finchè funziona così, per gli altri non ci sono possibilità. Eppure noi due anni fa avevamo sfiorato il miracolo, però ci hanno tolto sette punti“.
CALCIO, RAZZISMO, BALOTELLI. “Onestamente, credo che qui ce ne sia – di razzismo – anche meno rispetto ad altri paesi, come Spagna e Germania. Si parla tanto di Balotelli e delle persone di colore, ma quello che ho sentito dire io a Totti e De Rossi in questi anni, nemmeno lo racconto. Basterebbe venire in campo durante il riscaldamento, su vari campi. Insulti sulla loro romanità, sulle cose personali, sulle loro famiglie. Il massimo l’ho sentito una volta ad Ascoli nel 2007, prima della partita. Cose irripetibili, davvero pessime. Ecco perché io mi sono affezionato molto alla Roma e alla maglia, proprio perché stiamo sulle scatole a tutti. Quindi non c’è un razzismo, ci sono vari razzismi che vanno combattuti. Anche per Balotelli, lì non è razzismo. Ce l’hanno con lui per i suoi atteggiamenti. Talento indiscutibile, ma a noi ne ha combinate tante, troppe. In campo ti riempie di calci inutili, parla in continuazione, provoca. Spero che non incontri mai un collega con la luna storta. Si parla tanto di lui perché è uno che sa vendersi bene. Adesso è dura gestirlo, magari è stato sbagliato qualcosa all’inizio“.
CALCIO MODERNO. “Il calcio va verso lo spezzatino, io sono per le partite la domenica con le famiglie allo stadio. Ma comandano le tv, e torniamo al business di cui sopra. Tra qualche anno ci troveremo con gli stadi vuoti e con i calciatori che giocheranno le partite con un joystick in mano“.