In un’intervista rilasciata alla nostra redazione il professor Sergio Cherubini, docente di marketing all’Università Tor Vergata e direttore del Master in Economia e Gestione dello Sport, ha fatto una panoramica sulla situazione manageriale dello sport italiano, sottolineando alcuni punti di debolezza del nostro sistema.
Qual è l’approccio al marketing sportivo in Italia?
“Nonostante si sia fatto qualche passo in avanti, la situazione non è ancora delle migliori, soprattutto se si analizzano gli sport più popolari. In genere, la regola aurea è ‘Chi ha più bisogno, aguzza l’ingegno’. Il calcio da questo punto di vista è un po’ viziato. Soprattutto in un tempo di crisi economica come questo, mi sarei aspettato qualche cosa di più; invece spesso davanti alle difficoltà c’è un atteggiamento fatalistico. La politica più adottata è quella dello stringere la cinta, senza però cercare una gestione manageriale più redditizia. Altre volte si cerca di risolvere le problematiche con degli artifizi idonei a coprire le falle nell’immediato, ma inefficaci se si vuole costruire una strategia strutturata sul lungo periodo, come testimoniano le plusvalenze o l’ introduzione della partita delle 12.30″.
Eppure la gara all’ora di pranzo è stata fatta passare come un’interessante iniziativa di marketing della Lega Calcio per avvicinare il calcio italiano al mercato cinese.
“Ma è comunque un’operazione fatta male per diversi motivi. Innanzitutto, se fossi uno sponsor italiano protesterei parecchio, poichè non ottengo alcun beneficio nell’accrescere la visibilità in Cina se la mia azienda è strutturata sul mercato italiano. In questo caso, la disputa della partita alle 12.30 fa perdere spettatori (e quindi potenziali clienti) proprio nell’ambito territoriale dove l’azienda vorrebbe aumentare o consolidare le proprie vendite. Operazioni di questo tipo sono efficaci se gli sponsor sono mutevoli e tagliati sul mercato cinese. Oltretutto, dovrebbero essere accompagnate da una serie di iniziative in grado di permettere il radicamento sul territorio: creare organizzazioni che agiscano sul posto, allestire siti internet funzionali alla Cina e costanti attività promozionali; fare delle tournee nei luoghi dove si vuole implementare un contatto diretto; creare un management a Pechino e così via. La strategia di marketing deve essere completa e lo sport italiano ha fatto troppo poco: la trasmissione della gara alle 12.30 per favorire la fruizione del prodotto calcio italiano in Cina resta un’iniziativa estemporanea, adatta per raccogliere qualche spicciolo nell’immediato, ma inefficace se si vuole veramente conquistare un mercato in maniera solida”.
L’Italia paga anche la mancanza di risorse umane specializzate, in grado di portare avanti strategie di marketing efficaci nel medio-lungo periodo?
“In parte è così, ma bisogna anche considerare i miglioramenti che sono stati fatti in un settore dove i progressi non sempre sono repentini. Se penso che nel 1995, quando abbiamo cominciato a parlare di marketing sportivo organizzando dei convegni sulla materia, eravamo dei pionieri nel settore, devo dire che l’approccio al marketing è decisamente migliorato. E con buona pace di chi è cresciuto nel settore sportivo, i suddetti progressi sono dovuti prevalentemente ad immissioni esterne. Chi viene da altri settori, estranei alle logiche del calcio o dello sport in senso lato, riesce a fare operazioni migliori, improntate a maggiore serietà e professionalità, in luogo di una certa approssimazione che spesso si è vista in passato”.
C’è qualche esempio di lungimiranza nel mondo del calcio?
“Beh, tralasciando le vicende giudiziarie, a livello commerciale e di marketing chi si muoveva molto bene era la Juventus della Triade, tra i pochi club a fare delle ricerche di mercato. Un atteggiamento di quel tipo denota anche un’attenzione, solitamente carente, nei confronti dei tifosi”.
Lo scollamento tra tifosi e società di calcio è così netto?
“Facendo un discorso generale, penso che il sostenitore dovrebbe essere maggiormente ascoltato da coloro che offrono lo spettacolo sportivo. D’altra parte, anche il tifoso dovrebbe far sentire la propria voce, portarla all’ interno dei club per far pesare le proprie esigenze. Concettualmente, sembra che nel calcio nessuno si occupi di questo: è difficile esprimere potere negoziale senza un organismo e, sotto questo aspetto, la costituzione della Federsupporter (la federazione che tutela gli interessi dei tifosi, ndr) potrebbe rappresentare un’esperienza interessante”.
Questa carenza di attenzione verso il tifoso è tra le cause dello svuotamento degli stadi?
“La gente non va allo stadio perché il rapporto prezzo–prestazione è pessimo. Si era detto che la crescita dei diritti televisivi avrebbe determinato una diminuzione dei prezzi dei biglietti, cosa che non è avvenuta a fronte di una qualità dei servizi offerti negli impianti sportivi rimasta molto bassa. Quello che troppo spesso si trascura è la riduzione della propensione al consumo in ambito calcistico, fortemente influenzata dall’apparizione delle nuove tecnologie. Come se non bastasse, l’avvento del digitale permette una maggiore fruibilità di eventi sportivi, potenzialmente concorrenti rispetto al calcio, che un tempo avevano una visibilità assai più limitata. Questo potrebbe agevolare un passaggio di spettatori dal calcio verso altri sport. Io dico sempre che il calcio è uno sport fortunato, ma la fortuna poi bisogna meritarsela, perché una posizione di vantaggio derivata da motivi storici, economici e sociali non è destinata a durare in eterno, soprattutto se non c’è il supporto di un’elevata professionalità”.
Quella della professionalità è diventata un’esigenza impellente non più eludibile. In questo contesto, qual è l’obiettivo della vostra attività formativa?
“La funzione del nostro Master è fornire in modo sistematico una solida preparazione a giovani e meno giovani che aspirano a diventare dirigenti di organizzazioni sportive. La classe dirigenziale che vogliamo preparare è destinata a diversi ambiti: non soltanto organizzazioni sportive, come Federazioni e società, ma anche agenzie che si occupano di eventi, settori della pubblica amministrazione operanti in ambiti sportivi, media (sia tradizionali come la carta stampata, sia innovativi come i siti internet) e i vari settori che si occupano di contabilità e diritto applicati al mondo dello sport. Figure altamente professionali e competenti nello sport sarebbero necessarie anche in società non sportive, le quali però interagiscono con il mondo dello sport e avrebbero bisogno di figure in grado di dialogarci con cognizione di causa. E’ un filone, questo, non ancora ben sviluppato, ma l’attenzione verso la necessaria professionalità nello sport è rimarcata dai numerosi testimonial aziendali che partecipano alle lezioni e che costituiscono la nostra forza. La loro fidelizzazione alle nostre iniziative denota anche una profonda lungimiranza: l’ aumento di risorse umane altamente qualificate nel sistema sportivo è un contributo prezioso alla crescita di tutto il movimento. Crescita di cui beneficeranno anche gli stessi testimonial che già lavorano nel settore”.
A proposito di competenze, in Italia ci sono quelle che sarebbero necessarie per gestire un impianto di proprietà?
“No, poiché non abbiamo una tradizione da questo punto di vista e i manager dovrebbero essere presi dall’estero. E a questo proposito, mi viene il sospetto che il problema degli stadi sia un pretesto che si inventa per giustificare altre carenze. Gli stadi privati possono indubbiamente portare dei vantaggi, ma bisogna saperli gestire perché sono infrastrutture molto costose. Il discorso vale in modo particolare per le strutture di dimensioni importanti, le quali necessitano di competenze disciplinari molto articolate. Gli stadi sono universi complessi e spesso la loro gestione viene vista in modo semplicistico, poiché viene trascurato il fatto che in prima istanza essi rappresentano un appesantimento del bilancio. Anche qui parliamo di servizi e non di beni fisici, di prestazioni intangibili e prettamente umane che, in quanto tali, hanno bisogno di gente capace di offrire un buon prodotto”.
Andrew 27 Gennaio 2011 il 18:57
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