Il popolo degli allenatori

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 Dal Corriere dello Sport:

L’afoso pomeriggio non passava più. Una granita alla menta, tanto per dare tregua alla canicola, quattro calci nel rettangolo verde al­lestito al centro di quello che, solita­mente, serve da galoppatoio per il concorso ippico Piazza di Siena. Una risata, una battuta, una sbircia­tina al maxi schermo da 50 mq, giu­sto per sapere come va a finire Giappone-Camerun, l’antipasto pri­ma del piatto forte, prima dell’Italia di Lippi. E soprattutto le scommes­se senza puntare nulla, le giocate virtuali al quesito più straziante: ma stasera, poi, chi scende in campo? Con il 4-4-2, modulo che sta bene un po’ con tutto, come il nero che ‘ sfina’, o mastro Lippi sceglie­rà formule tattiche ben più elaborate?

« L’importante è vincere – arringa Marco, 22 anni -, non siamo gli stessi di quattro anni fa, ma possiamo farcela co­munque » . Popolo di allenatori gli italiani, si sa. Chi- gioca- chi, chi-gioca-come: tutto finisce con l’alzarsi della luna, perché la metamorfosi in tifo­si- mannari è un atti­mo. Titolare Pepe, pure Iaquinta: qualche sorpresa? «No, io lo sapevo – assicura Francesco, 23 anni -, Lip­pi non poteva lasciare fuori due gio­catori così» .  Certo, manca l’idolo da idolatrare, il campione da celebrare, da osannare. Uno come Baggio, per quelli un po’ più anziani, Del Piero per i temerari. E naturalmente Francesco Totti, l’uomo simbolo del­la Roma pallonara. Va bé, fortuna c’è De Rossi titolare. «Il più forte è lui» , urla un gruppo di ragazzini.

Del resto al Fifa Fan Fest, l’orga­nizzatissimo villaggio globale messo in piedi nella capitale come in altre 5 metropoli del mondo, è così: una moltitudine di voci e idee, di sogni e speranze per la Nazionale avversa­ria del Paraguay all’esordio in Suda­frica. Qui, giusto quattro anni fa, erano in 6mila a gridare al trionfo di Berlino, oggi sono almeno quattro volte tanto. «C’ero anche quella vol­ta – ricorda Simone, 28 anni -, spe­riamo di ripeterci quest’anno. Pec­cato che queste convocazioni non mi convincono» . Oggi il ‘po-po-po’ incalza ancora, ma non è la stessa cosa. Meglio il waka-waka di Shaki­ra. Undici tv sono venute a seguire l’evento (anche) qui, c’è pure il ron­zio perenne delle vuvuzelas che ar­riva in sottofondo dalla diretta di Città del Capo e, no­vità made in en­gland, il rumore da applausi delle ‘ clap banner’, cartoncini assordanti distribuiti da Radio Italia, radio ufficiale dell’evento Fifa.

La bomba è pronta a esplodere. E succe­de quando De Rossi pareggia il gol di Al­caraz: evvai, forse vinciamo. « Dopo il primo tempo non ci credevo – guarda in basso Mino, 45 anni ­, ma l’Italia è sempre la stessa in tutte le edizioni, non muore mai » . Sì, perché se i primi quarantacinque minuti sono un mezzo flop, la ripresa è l’arrembag­gio perfetto, accompagnato da una marea festante, colorata di verde, bianco e rosso, trascinata da un fiu­me tinto d’azzurro. «No, questo mon­diale non lo vinciamo – fa scaraman­tico Lorenzo, 16 anni -, non arrivia­mo nemmeno ai quarti» . A guardar­lo tifare non si direbbe così scettico, ma va bene lo stesso. Semplicemen­te, l’ 1- 1 finale non gli andato giù. Proprio come per i ventottomila del Fifa Fan Fest.


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