Se domani

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Guardi laggiù.
Mentre cerchi di tenere al caldo mani e piedi. Mancano 90′ alla fine di Roma-Lecce e hai fatto solo in tempo a scoprire che Mexes s’è ammalato per lo stesso freddo di cui, più in là, t’ammalerai – forse – pure tu. Gioca Burdisso, Juan non fa una piega. Rientrano Julio Sergio e De Rossi, l’Olimpico apprezza. Il 2-0 non ha ancora preso corpo – maturerà, maturerà – che dai un’occhiata intorno. Mezzo vuoto, lo stadio. Andresti a prendere i tifosi finti di Trieste per rimediare a una immagine che – volente o nolente – stona in ogni caso. A prescindere da una classifica stentata. Da una squadra che fatica a carburare. Dalla propensione a schedulare. Dal tardo pomeriggio semi invernale.
Guardi laggiù. Sai che non c’è mare, che non c’è sole. Sai altrettanto bene che lo sviluppo della stagione capitolina è cromaticamente in tinta con il grigiume delle sei men’un quarto. Eppure, butti l’occhio di sotto – erba, stretching, tensione da poterci suonare il jazz – e vedi l’immenso blu.
Due occhi. Due pozzi. Provi a farti catino, ti ci fiondi dentro come per abbeverarti. Sono gli occhi di Giorgio Rossi, è memoria da non dimenticare mai. Nessuno dirà alcunchè se per una volta decidi di alzarti in piedi in una sola circostanza. Segnasse pure il capitano, sfondassimo il Lecce di gol, tornassero a essere un coro che canta a una voce sola. Per una volta, non ti alzerai. Il tributo – certe volte – stravolge trame e impone un rispetto profondo. Potessi scegliere, ritireresti per sempre la figura del massaggiatore per imprimere nella storia capitolina il nome di Giorgio Rossi. Quelle mani mosse per cinquant’anni dai pistoni del cuore valgono un tesoro inestimabile. Perchè, a un tempo, hanno saputo guarire e carezzare, adempiere a un dovere e comunicare, scaldare e predisporre. Certe mani segnano la via, come un paio di piedi spianano, nel corso di una partita, la strada. Sono estensioni di passioni che sanno vivere di luce propria. Tentacoli di professionalità da clonare seduta stante. Dignitoso silenzio dal quale nasce, per lineare conseguenza, il fragoroso assolo di chi deve percuotere come un forsennato. Ma poi, a conti fatti, gli assist di Rossi fanno invidia a chi, al fantacalcio, deve accontentarsi di quelli di Totti. E i gol, i gol di Rossi: roba che Borriello ha ancora tutto da imparare. 80 anni di Uomo – il maiuscolo, pr una volta, non è errore di battitura – stanno a mezzo secolo giallorosso come hanno saputo starci i tre lustri di Agostino, come sa ancora starci troppo bene il 10 a cinque lettere. Il 1961, un romanista, non può che associarlo all’esordio di un tesoro inestimabile al cui cospetto le coincidenze non hanno fatto giustizia. Ma tornerà a riempirsi, l’Olimpico.  6 la nostra storia perchè dentro a quegli occhi d’un blu che rasenta una bellezza guadagnata minuto dopo minuto – al di là delle attribuzioni di madre natura – ci vedi quello che lo show business spesso offusca. 6 la nostra storia perchè a sfiorare quegli occhi che altri viziosi riescono a bagnare solo con spruzzi di champagne sono sempre state particelle di lacrime e sudore. Lacrime e sudore. Che hanno fatto piangere e soffrire. Ridere e fare fatica. L’emblema di un calcio che sa essere pezzo di pane prima ancora che happy hour. 6 la nostra storia perchè quelli come te, fuori posto, non ci sono stati mai. E se ora quella tinta tutta blu che s”acquieta tra il giallo e il rosso richiama l’obbligo di memoria perpetua è solo per questo. 6 la nostra storia. E se domani, o domani l’altro, o fra cent’anni ci fosse un Olimpico gremito all’inverosimile, saresti sempre parte indissolubile dell’insieme. E se domani, o domani l’altro, o fra cent’anni tornasse a segnare Burdisso, o Vucinic o chiunque altro, bhè. In quel momento torneremo ad alzarci ed esultare, a vivere la bolgia della Sud con il trasporto di sempre. Ma ieri no. Ieri si è gioito dentro ma si è rimasti seduti. Perchè ci si era già alzati a cinque minuti dal fischio di inizio. E quel tributo è venuto spontaneo renderlo unico e speciale. Guardi laggiù.
Mentre Ranieri prova a sparigliare l’accanimento della malasorte osservandola nelle pupille e il capitano sembra tranquillo e determinato. Borriello e Brighi si passano la palla, Cassetti sveste la pettorina. Sai che non c’è mare, che non c’è sole. Semmai la distensione di un verde vestito a rettangolo che di questi tempi provoca angoscia. Non è ancora iniziata Roma-Lecce ma sei in piedi a celebrare il dovere di non dimenticare mai. Non ti alzerai più per tutta la gara, lo sai. E se domani finisci in malattia per tutto il freddo sofferto nell’immobilismo di un seggiolino troppo stretto, pensi solo che il Direttore – se non capirà – ha quantomeno la stessa alternativa di Ranieri. E per una volta, se manca Mexes all’improvviso, è pronto Burdisso.  Dettagli. Rispetto al fatto che Giorgio Rossi – domani, o domani l’altro, o fra cent’anni – non mancherà mai.
A.B.


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