“Fondazione Roma? E’ possibile”

di Redazione Commenta


 Marco Boglione, per i mercati di tutto il mondo Mister Kappa, è l’uomo che nel ’94 ha rilevato il Maglificio Calzificio Torinese SpA. Il Romanista l’ha intervistato sulla possibilità di istituire una Fondazione Roma:

Boglione, cosa pensa delle indiscrezioni che circolano sulla cessione dell’As Roma? “So che si è in cerca di un assetto strategico importante per la società. E che quindi si stanno valutando una serie di ipotesi. Una di queste è la cordata di imprenditori. Si spieghi meglio. Vede, i modelli di business per le società di calcio non sono tanti. Questo è il problema. C’è il modello “alla Moratti”. Della serie, mi compro la società e gestisco tutto io. Poi, negli anni, si è fatta strada anche la soluzione della quotazione in Borsa del club. Dell’azionariato popolare con fini di lucro, inteso quindi come investimento. Ma poi si è visto che la formula della public company non andava bene per il sistema calcio. Quindi? C’è una terza via. È quella dell’azionariato popolare senza fini di lucro. L’esempio che si cita frequentemente è quello del football club sostenuto da una fondazione.”
Una fondazione? “Sì. Penso alla Fondazione Barcellona, che fa da azionista di maggioranza per tutte le discipline dell’associazione sportiva. Tra cui il calcio. In cima c’è questa grossa holding finanziaria, ricchissima, dove tutti partecipano per prestigio, tifo e interesse. Poi, possono esserci uno o più imprenditori che acquistano una quota di minoranza della società, divenendo soci di riferimento e assumendo così la responsabilità gestionale. Certo, mi rendo conto che la Fondazione Barcellona è unica. Ma…”
La interrompo, presidente: ma i 173 mila soci che attualmente possiedono una quota del Barça che ruolo hanno? “Bisogna distinguere il Barcellona Football Club dalla Fondazione Barcellona. Facciamo un parallelo con l’As Roma. È come se l’As Roma avesse per socio di stramaggioranza (Boglione si affida volutamente a un’iperbole, ndr) una ipotetica fondazione Roma. Nel caso del Barcellona, nel capitale del Football Club entrano degli imprenditori che poi hanno l’onere e l’onore della conduzione. Ma c’è sempre la Fondazione sopra le loro teste, la cui immensa forza economica impedirà al Football Club di andare in crisi una volta che questi soggetti non avessero più interesse o capacità finanziarie.”
Questo modello è applicabile all’As Roma? “Guardi il Siena.”
Il Siena? “Lì c’è un’istituzione che si comporta come la Fondazione Barcellona. È il Monte dei Paschi di Siena il vero socio del Siena Calcio. Poi ci sono degli imprenditori che, come avviene per il Barcellona e il Real Madrid, ci mettono del loro: passione, gestione e quindi anche la faccia. È un processo virtuoso. Un modello di business riveduto e corretto, certo. Ma simile a quello del Barcellona.”
È così che è saltata fuori l’ipotesi di replicare questo modello anche a Roma? “Ci si sta chiedendo se sia possibile. Un socio forte, fortissimo, già c’è. È Unicredit. Potrebbe continuare ad esserci, magari non con una posizione così totalitaria, assieme a tanti altri soci che potrebbero andare a riproporre una sorta di Fondazione Barcellona a Roma. E poi ci sarebbe sempre un imprenditore, una famiglia, un super-tifoso della Roma, che potrebbe acquisire una partecipazione di minoranza, e così anche la leadership del club. Quanto di minoranza? Mah, che so, un 20%.”
Quale dovrebbe essere il punto di partenza? “Andrebbe costituita una Fondazione Roma. Questo soggetto, di cui – come le ripeto – potrebbe far parte Unicredit, potrebbe avere l’80% dell’As Roma. Quel restante 20%, appunto, potrebbe appartenere a un imprenditore che magari è già socio della Fondazione Roma e che, con quella quota, diventerebbe socio di riferimento dell’As Roma.”
A Roma c’è un azionariato popolare senza fini di lucro. Si chiama MyRoma. Dovrebbe stare dentro l’As Roma o dentro la Fondazione Roma? “Nella Fondazione, assieme a Unicredit e ad altri soggetti. La cosa potrebbe funzionare. E potrebbe funzionare anche per un’altra importantissima ragione. Quale? La Fondazione sarebbe impegnata per quell’80%, l’investitore solo per il 20%. In questa ottica, non ci sarebbe più bisogno di trovare un Paperon de’ Paperoni, l’uomo dei sogni, un petroliere arabo. Basterebbe un capitano coraggioso che con quel 20% si esponesse per guidare il club.”
Secondo lei, Unicredit potrebbe accettare un piano del genere? “Questo lo sa solo la banca. Se però Unicredit volesse vendere adesso le sue azioni As Roma, sarebbe un disastro. L’altro modello di business, quello del mecenate, del russo che dice a Piazza Cordusio: “ecco i soldi, qua prendo tutto io”, ben venga. Sennò, che altro si potrebbe fare? Già.”
Altrimenti? “Altrimenti… si sta così. I Sensi gestiscono bene l’As Roma e Unicredit si tiene la sua partecipazione. Ma non c’è un assetto strategico. Non si possono fare programmi a lunga scadenza.”Lei potrebbe fare parte di questo disegno? “Se ci fosse un progetto di questo genere, con una grande banca che ci sta dentro e altri imprenditori che ci credono e portano in alto il nome della Capitale, perché no? Se ci fosse da far parte di una fondazione Roma, vorrei essere addirittura tra i primi a essere interpellato. Anche se non sarò io certo quello che controllerà l’As Roma. Ricapitolando. Lei non sarà l’imprenditore del 20%,ma potrebbe essere uno dei soci della fondazione. Certo. Più soci ci sono, meglio è. Anche perché l’As Roma è una vetrina internazionale. Sì. E noi lo sappiamo bene. La sponsorizziamo e lo faremo ancora per molti anni.
Vuol dire che crediamo in questa società. Quel socio titolare del 20% potrebbe essere sempre la famiglia Sensi? “Mi piacerebbe, perché secondo me sta amministrando bene il club. Ma potrebbe anche essere qualcun altro. Non lo so. I tifosi della Roma sognano l’Abramovich di turno. Se arriva, e chi lo manda via? Ma se uno aspetta e poi non si presenta nessuno? Oppure sì, ma poi si scopre che si tratta dell’Abramovich sbagliato (un ciarlatano, ndr)? Occorre allora iniziare a pensare a qualcosa di più strategico. Un ostacolo per chi volesse investire, italiano o straniero, è l’assenza di una normativa di riferimento sugli stadi di proprietà. Ma certo. Siamo indietrissimo rispetto al resto d’Europa. Ci sarà un motivo se nessuno straniero si è ancora affacciato in Italia, no?”


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