Dalla Gazzetta dello Sport:
Un tempo ostaggio dei teppisti. Un tempo a giocare al calcio. Vince la Roma, perché ci prova più della Lazio, perché è più forte e perché è anche più fortunata. Il secondo tempodel derby romano, che proietta i giallorossi nelle immediate vicinanze della zona Champions e fa sprofondare sempre più in basso i biancocelesti, restituisce a tutti un po’ del sapore del buon calcio antico. Per carità, niente di straordinario, ma il palo di Zarate, la parata miracolo di Julio Sergio su Mauri, e quelle di Muslera su Perrotta e Riise in mezzo alle quali c’è il gol-partita dell’operaio Cassetti, profumano di pulito. Quel che accade durante un primo tempo nel quale in pratica non si gioca, decisamente no: la guerriglia in Tribuna Tevere mentre le curve, composte in modo come minimo curioso, stanno a guardare, il numero inspiegabilmente alto di bombe carta che chissà perché continuano a entrare nello stadio, la sospensione di otto minuti imposta a Rizzoli dal responsabile dell’ordine pubblico, i tre annunci dell’altoparlante con la minaccia di sospendere il match. Tutto orribile. Tutto da non dimenticare. La chiave. E’ racchiusa nei cambi di Ranieri tra il primo e il secondo tempo, complice (in parte) l’infortunio di Mexes: con lui esce l’altro francese Menez, ed entrano Cassetti e Brighi, per un 4-3-1-2 più efficace del precedente 4-4-2 e soprattutto decisivo in Cassetti. E’ lui l’uomo del destino, che prima sbaglia mandando in porta Zarate venendo graziato dal palo, e poi si ritrova chissà come nel mezzo dell’area laziale sul cross di Vucinic per il piattone dell’1-0. C’è il sospetto di un fallo di Totti su Brocchi nell’avvio dell’azione, ma ci potrebbe essere anche un rigoretto (Diakite su Juan) negato in avvio alla Roma da un Rizzoli comunque bravo a tenere in pugno un match non bello e ruvidissimo (sacrosanto il rosso a Pizarro nel finale). Quanto a Ballardini, il catenaccio non paga ma le gambe molli, puntuale appuntamento della Lazio dopo un’ora di gioco, ostano di più. Roma. La trovata di Ranieri, che per la quarta volta consecutiva propone il cosiddetto tridente fin qui sempre vincitore (Bari, Atalanta e Basilea) è di mettere Vucinic ai fianchi di Totti, sorta di secondo centravanti. Perrotta e Menez, uno a destra e l’altro a sinistra, diventano così i laterali di centrocampo di un 4-4-2 che nelle intenzioni dovrebbe diventare un molto offensivo 4-2-4. Teoricamente, la ricetta per scardinare il bunker laziale. Nella realtà, un non schema che accentua la confusione generale e che contribuisce allo zero assoluto del primo tempo. L’infortunio di Mexes, che regala a Burdisso il più gradito ruolo di centrale, restituisce alla Roma un terzino destro (Cassetti) che sa partecipare al gioco offensivo. Ranieri ci aggiunge Brighi, al posto dell’inguardabile Menez, per un 4-4-2 nel quale Perrotta è il vertice avanzato del rombo. E la Roma, pur rischiando, va. Lazio. La trovata di Ballardini è vecchia come il calcio. Quello bravo là davanti, solo come mai lo è stato nella sua vita laziale. Zarate è la punta con licenza di mangiarsi il pallone. E’un 5-4-1 in cui Lichtsteiner e Kolarov abbandonano lo stretto indispensabile i tre stopper e con gli esterni di metà campo Matuzalem e Mauri che a turno salgono accentrandosi quali trequartisti. Finché la teppa è padrona dell’Olimpico, il giochino funziona e anzi, quando si comincia finalmente a fare calcio, è della Lazio, main contropiede, la prima grande palla- gol, con Zarate-Mauri. Sarà però anche l’ultima. E’ appena passata un’ora. E sulla Lazio senza fiato (spariti Baronio e Brocchi) e anche senza fortuna cala il sipario. Ballardini regala a Rocchi otto minuti più recupero, una miseria. Lotito, forse, regala ancora a Ballardini le partite con Genoa (senza Baronio e Mauri squalificati) e Inter. Giusto per arrivare a Natale.