Da Il Messaggero:
Anche se sfugge a ogni regola: fin dal nome, che è tale non per scelta ma per sorteggio. Due gentiluomini inglesi scrissero i loro cognomi su due foglietti e poi ne estrassero uno (non c’era il televoto a fine Settecento). Vinse Lord Derby e perse il capitano Bunbury. Si doveva battezzare una corsa di cavalli, la più grande di tutte. Poi derby è diventato il nome della cosa più grande in ogni sport. E quindi per il calcio, religione del nostro tempo, ne è la messa cantata, il conclave.
Chi entra papa spesso esce cardinale. E magari diventa papa un prete di campagna poco considerato, come Paolo Giovannelli o Guerino Gottardi. Eppure tutti il derby lo si gioca d’anticipo, laziali o romanisti che si sia (in ordine alfabetico).
Chi attacca la vita vorrebbe, nel primo caso, Zarate da subito, e nel secondo il trio Totti-Toni-Vucinic, per fare la partita e non “subirla” e ripartire. Ma per gli strateghi dell’Olimpico, quelli che guidano la battaglia degli striscioni, la tattica è altrove: nella bellezza delle curve che “si parlano”, mentre Pizarro mette il suo ordine infinito nel gioco della Roma o Floccari sbuca nel cuore del campo romanista.