L’articolo integrale de Il Mondo:
Mediatori in più non ne servono. Sono sufficienti i legali Agostino Gambino per i Sensi e Francesco Carbonetti per Unicredit. A testarlo con mano è stato il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha invitato in Campidoglio il presidente di Italpetroli Rosella Sensi e il deputy ceo di Unicredit, Paolo Fiorentino, nel tentativo di avviare una mediazione. “Il clima è gelido”, ha dovuto ammettere Alemanno constatando la complessità della partita che si gioca intorno al destino del gruppo petrolifero che controlla la As Roma. Tutto nasce dall’accelerazione impressa alla vicenda da Unicredit, che nel corso dei mesi scorsi ha perso la pazienza e ritenuto di recedere dall’accordo siglato nel luglio 2008 con il gruppo della famiglia Sensi.
In ballo ci sono i 324 milioni di debiti da restituire alla banca guidata da Alessandro Profumo e fin qui mai versati. A cascata l’operazione investe il club giallorosso e tutti gli interessi di natura politica del caso. Compresi i problemi di ordine pubblico di una squadra con migliaia di tifosi sul piede di guerra. Ma che cosa prevedeva l’accordo siglato nell’estate di un anno fa? In sostanza era un piano che andava incontro alle esigenze dei Sensi. Che grazie a una sorta di moratoria di due anni e mezzo avrebbero dovuto dismettere una serie di asset immobiliari e petroliferi entro il dicembre del 2010, e quindi restituire i soldi a Unicredit.
L’accordo stabiliva che la famiglia indicasse insieme con la banca i beni da cedere attivando i mandati irrevocabili per la vendita. Il valore avrebbe dovuto essere non inferiore al 90% del prezzo delle perizie. Inizialmente il mandato è stato assegnato a Lehman Brothers che però poi è fallita nel settembre 2008. A subentrare è stata così Lazard. Il contratto indicava poi che se al dicembre del 2010 non fossero state rimborsate le somme pattuite, Italpetroli avrebbe dovuto concedere all’inizio del 2011 un mandato irrevocabile anche sulla Roma. Il documento segnalava, infine, il meccanismo e il calendario con cui nell’arco dei due anni e mezzo Italpetroli avrebbe dovuto versare i soldi incassati. Se la faccenda avesse preso una piega sbagliata, così come puntualmente avvenuto, le parti sarebbero ricorse a un arbitrato.
Il primo appuntamento era stato fissato per dicembre 2008 e prevedeva che le prime cessioni avrebbero consentito di far scendere di 130 milioni il debito. Un secondo pagamento era atteso in giugno. Il punto è che Lazard non ha trovato compratori e quindi non ha venduto niente. Va da sé che Unicredit non ha visto un centesimo. A contemplare un’ipotesi del genere era del resto d’accordo che, non a caso, scadeva nel dicembre del prossimo anno. I debiti andavano dunque pagati come sostiene ora Unicredit, ma Italpetroli aveva ancora tempo.
A cambiare lo scenario è stata proprio la decisione dello scorso 4 giugno della banca. L’istituto di Piazza Cordusio ha ritenuto che la ritardata presentazione da parte di Italpetroli del valore nav (il patrimonio del gruppo al netto delle passività) valesse come assunzione del fatto che era negativo. L’elemento del nav negativo ha permesso a Unicredit di sostenere che l’accordo era nullo e che faceva decadere la clausola arbitrale. Un cavillo pretestuoso secondo i legali dei Sensi, che ribadiscono la regolarità con cui è stato redatto e presentato il dato. E finora sembrano avere avuto ragione perché il tribunale ha congelato i decreti ingiuntivi richiesti da Unicredit su 13 società del gruppo Sensi e ha indicato che la soluzione passa per l’arbitrato. Tanto che i due arbitri (Romano Vaccarella e Enrico Gabrielli) sono stati già nominati, e nei prossimi mesi dovranno scegliere il presidente del collegio.
C’è infine un’ulteriore spia della voglia della banca di accelerare i tempi e mettere le mani sulla As Roma. Il 5 giugno scorso, all’indomani del recesso, è circolata una bozza con cui Unicredit chiedeva un mandato irrevocabile ai Sensi per cedere la As Roma. Non solo. La bozza prevedeva, come ricordato nell’atto di nomina dell’arbitrato, anche che le istruzioni di vendita “fossero impartite dalla sola Unicredit” e che la stessa banca avrebbe addirittura rinunciato a parte del rimborso dei 324 milioni se l’incasso fosse stato inferiore al previsto. Una svendita, insomma, proprio nei giorni in cui la cordata dell’industriale farmaceutico Angelini faceva capolino per la prima volta nella partita.