La Gazzetta dello Sport intervista Antonello Venditti. Che parla di Roma e della sua musica, affermando che la sua creatività, da che mondo e mondo, tocca il massimo dell’espressione quando la Roma va alla grande. Ancora: dal cantautore romano, grande attestato di fiducia per Claudio Ranieri, amico e professionista stimato. Ecco la proposizione integrale dell’intervista:
E sì che Milano, quel giorno era Giamaica. Ventisette giugno 1980, stadio San Siro, concerto di Bob Marley: Piero e Cinzia nacque quella notte. «E lo stadio era pieno…».
«Quello fu il primo concerto a vedere protagonisti tutti i ragazzi italiani, accorsero in massa da tutta la penisola. Incontrai Bob in ascensore, gli sorrisi imbarazzato. Mi piacevano le sue canzoni e mi affascinava il suo amore per il calcio, inteso come gioco di liberazione politica, possibilità di salvezza, mezzo per uscire dal ghetto».
Sta tutta in questi termini la vita di Antonello Venditti: canzoni, amore, calcio, politica. Una fantastica storia da raccontare.
«L’importante è che tu sia infelice» è l’autobiografia del cantautore appena uscita per Mondadori. Un fiume di emozioni, esperienze, con le canzoni sullo sfondo, e un luogo dove tutto parte e tutto torna, la famiglia: la professoressa Wanda, il prefetto Vincenzino Italo, la nonna Margherita, lo zio Adalberto, che lo iniziò alla Roma. Già, la Roma, cinquant’anni di militanza inaugurati da un gol di Selmosson, soprattutto lo scudetto del 1983, il primo concerto del Circo Massimo, «giorno in Paradiso 15 maggio 1983»,
che segnò la fine di una crisi artistica e personale.
«Fu lo scoppio di una galassia d’amore — ricorda —. Quando la Roma va bene, così come quando il sole irradia la città, regala una forza in grado di trainarti per anni».
Venditti, ora la Roma va male, dunque?
«Siamo tutti un po’ più tristi, ma continuiamo ad amarla».
Si è fatto una ragione di questa crisi?
«È un film già visto, questa stagione è identica alla scorsa. Purtroppo da un anno questa squadra non riesce mai ad essere completa, spesso le mancano giocatori in ruoli fondamentali. Basterebbe Totti, che in campo si sente per noi e gli avversari come nessun altro».
Come se ne esce?
«È l’orgoglio dei calciatori che deve venire fuori: in questo momento ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Io credo e spero che presto assisteremo ad un’inversione di tendenza. Ranieri è un mio amico e una persona capace: ci tirerà fuori dai guai. Io dico che il terzo posto è ancora possibile ».
Dal milione di persone del Circo Massimo ai ventimila di Roma-Livorno: dove è finito il tifo più bello del mondo?
«Io non vado più allo stadio dalla scomparsa del mio amico Mimmo Spadoni. Però questa squadra ha bisogno di noi, Roma-Bologna deve sancire la vittoria del pubblico».
La politica, invece, continua ad essere frequentata: quasi tre milioni alle Primarie del Pd, soddisfatto dell’elezione di Bersani?
«La cosa più importante è aver dimostrato che esiste ancora un’area vasta dove tutti coloro che si ritengono democratici possono trovare i propri valori e riaffermarli nella società. Vorrei che ora il Pd fosse meno mediatico e recuperasse il contatto con il territorio».
Lei è appena tornato da Washington, dove ha ricevuto l’ambito premio della Niaf (National Italian American Foundation). È vero che doveva incontrare Obama?
«Sì, era previsto, ma all’ultimo momento è stato trattenuto dalla riforma della sanità. È stata un’esperienza fantastica comunque: avevo suonato solo una volta negli Stati Uniti, è andata così bene che ho gettato le basi per un prossimo tour negli Usa. Per il concerto sono venuti da tutta l’America, ho fatto i grandi classici, Sì, anche Grazie Roma».
Del resto, come scrive nel libro, c’è sempre qualcuno, in ogni parte del globo, che tifa Roma.