Dal Romanista:
«Non accetterò qualsiasi giocatore non ambizioso, che non prova la cosa più difficile». E ancora: «Penso che un giocatore si fa più con la fiducia che con altro». Ecco, per chi non avesse ancora capito che tipo di allenatore è Luis Enrique ci ha pensato lui a spiegarlo. Ci ha pensato lui a ribadire al mondo il suo modo di intendere il calcio. Lo ha fatto in una lunga intervista rilasciata a Barça Tv nella quale ha salutato la società e i tifosi che sono stati suoi per una vita. Quando gli chiedono se si sente triste a dover dire addio al blaugrana, lui risponde a modo suo, da duro: «Se i calciatori hanno una vita breve in un club, prima di lasciare, lo è ancora di più per gli allenatori. Me lo aspettavo quando ho iniziato questo lavoro. Devo dire che sono stati tre anni fantastici. Ho deciso che il mio ciclo è giunto al termine. Ho detto ciò prima ancora che mi arrivassero delle offerte». Ma ora che lui è pronto ad una nuova sfida, a spiccare il volo. Anche a costo di lasciare i suoi ragazzi, quelli con i quali ha fatto meraviglie nella serie B spagnola: «C’è una grande squadra qui, giocatori di qualità superiore. Tutti lavoriamo allo stesso modo con una tale sinergia positiva e dinamica di gruppo che ognuno si sente importante: ora si stanno aiutando l’un l’altro per realizzare le cose. Sono soddisfatto e orgoglioso di quello che abbiamo fatto questi in 3 anni perché credo che alcune delle conquiste raggiunte siano merito mio». Poi ancora sui suoi giocatori: «Loro sanno che mi piace scherzare, ma che prendo il mio lavoro molto seriamente. Ho scherzato sul fatto che tra una settimana andrò in una conferenza stampa a dire che era tutta una bugia. Non ho dubbi che chi prenderà in consegna il club sarà ben capace. Non ho dubbi che ci sono professionisti di alta qualità al Barça B in questo momento, che si adatteranno alle necessità e alle richieste di chi è il nuovo allenatore». Andandosene, Luis Enrique perde la possibilità di subentrare a Pep Guardiola, processo che sarebbe parso naturale tra un anno, come molti a Barcellona si auguravano: «Le persone sono molto gentili con me – spiega lui -. Il Barça è la mia casa, la gente è gentile e hanno sempre dimostrato affetto. Essere allenatore della prima squadra è una cosa molto più grande, poche persone sono in grado di farlo e noi abbiamo già l’uomo migliore, l’uomo che ho sempre voluto e spero che rimarrà per molti anni ancora. Chissà chi sarà il prossimo… Il solo sapere che sono qui e che la gente pensa che potrei essere pronto per quel ruolo è già abbastanza per me, ma io non voglio vivere di sogni. Volevo un po’ di riposo, ma mi sto rendendo contro che è difficile. Il mio obiettivo è quello di vivere il presente e niente altro». La prima squadra è una cosa molto più grande, dice Luis Enrique, eppure lui è convinto che il suo Barça B non sia inferiore. O per lo meno è quello che vuole far entrare nella testa dei suoi giocatori: «Penso che i miei giocatori siano migliori di quelli della prima squadra. Penso che potrebbero battere la prima squadra… Alcune persone dicono che è una sciocchezza, che è impossibile, ma ci tengo al fatto che i miei giocatori pensino che l’allenatore ha fiducia cieca in loro. Non accetterò qualsiasi giocatore non ambizioso (la rosa giallorossa è avvisata, ndr), che non prova la cosa più difficile. Penso che un giocatore si fa più con la fiducia che con altro. Questo è quello che ho sempre pensato. E’ così facile allenare con giocatori come questi. Ecco perché anche lo psicologo è stato così importante, ha fatto un lavoro incredibile». Psicologia, convinzione e ambizione. Questi gli ingredienti del suo modo di lavorare. Ma non solo, anche pensare al bene comune: «Questo è il calcio, è uno sport di squadra, nessun giocatore può preoccuparsi più di se stesso all’interno del gruppo. Devi giocare bene come parte integrante del team, per raggiungere le cose. L’ allenatore viene prima degli obiettivi personali. Ma oltre a cercare di vincere, il mio lavoro qui significava anche formare i giocatori per essere pronti a muoversi fino alla prima squadra ogni volta che Pep aveva bisogno di loro. Abbiamo lavorato alla perfezione. Vi immaginate dieci uomini a pensare “Voglio farmi vedere, non mi interessa il punteggio”. No, fortunatamente Pep non lavora con quella filosofia». E come si lavora con quei giovani che vogliono bruciare le tappe per arrivare in cima, quelli che vogliono diventare troppo in fretta i nuovi Messi. «Devono lavorare duro, naturalmente. Devono dimenticare di imitare Messi. Uno come Messi non si vedrà ancora per 300 anni, si trasferì qui quando aveva 17 anni, ma dobbiamo dimenticarci di lui. Qui siamo abbastanza fortunati da avere una squadra di B che gioca a livello professionale ed è un luogo ideale per provare i giocatori». Un luogo che lui ha deciso di lasciare. Per volare da solo.