Rap, rapine, rapporti che non si rompono, perché le radici – se vuoi crescere – devono durare per sempre. A raccontare la Banlieue 94 di Parigi, la difficile periferia dove Jeremy Menez è cresciuto e a cui ha dedicato il suo numero di maglia, più che i monosillabi del talento francese ci pensano la cronaca nera e i video di You Tube. «Non c’è lavoro, non ci sono prospettive, non c’è futuro», rappano ribelli i giovani figli del melting pot francese, generazione di mezzo tra l’Africa ormai lontana e un’integrazione colpevolmente lenta. Facce truci (bianche, nere, magrebine), cappucci perennemente tirati sulla testa, mani che si muovono in continuazione: tutti frammenti che s’infilano tra immagini di auto bruciate, scontri con la polizia, moto riprese in impennate lunghissime che sanno di sberleffo. Ritorno a casa «È stato bravo Jeremy a non lasciarsi travolgere dal nostro ambiente – hanno raccontato nei giorni scorsi i suoi vicini figli del “94” -, se crede in se stesso può diventare grande come Zidane». In attesa di scoprire se il paragone sia così azzardato, di sicuro Menez parte oggi per tornare a casa, a Parigi, con uno status completamente diverso rispetto al passato. La stella più brillante del ritiro di Riscone di Brunico, infatti, è stato proprio il francese, che nel quadrangolare in programma da domani contro Paris St. Germain, Bordeaux e Porto è pronto a mettersi in vetrina e cercare di realizzare un sogno: la nazionale.
Torneo di Parigi: Menez vuole essere la stella
di 30 Luglio 2010Commenta