La Stampa:
Il disastro era annunciato. Con i ricorsi respinti, ventuno società sono sparite dai campionati professionistici 2010/11. Il pallone, in altrettante piazze, sarà confinato a uno spettacolo dilettantistico.
I conti non sono tornati alla Covisoc, la commissione che vigila sull’equilibrio finanziario dei club, né le documentazioni presentate dalle dirette interessate sono state sufficienti a dimostrare il contrario: così il veto è stato confermato in serie B sul reclamo dell’Ancona, in Prima Divisione su quello del Figline, mentre la Seconda Divisione ha visto bocciate Legnano, Potenza, Sangiustese e la storica Pro Vercelli, che non si è fatta trovare in regola con gli emolumenti. Sei “niet”, che si sommano alle quindici società già condannate: in sette non avevano presentato ricorso (Arezzo, Real Marcianise, Alghero, Cassino, Manfredonia, Olbia e Pro Vasto), in otto avevano reputato vano persino il tentativo di iscrizione (Rimini, Mantova, Gallipoli, Perugia, Monopoli, Itala San Marco, Pescina e Scafatese). Per i ripescaggi bisognerà attendere il Consiglio Federale del 5 agosto, quando anche Coni e Tar si saranno espressi sulla materia.
Sul falò della Lega Pro, il presidente Macalli non può gettare acqua: «È un tributo di sangue, ma è una situazione che denunciamo da almeno tre anni. Il prossimo anno sarà anche peggio». Lo stesso Macalli ha ricevuto la delega per la riforma dei campionati, tappa obbligata se si vorrà rispettare il blocco dei ripescaggi dall’anno venturo: «Non impiegherò molto ad avanzare le mie proposte. Certo, questa è una brutta serata: due club, Figline e Sangiustese, hanno presentato fideiussioni tarocche, se avessero applicato gli stessi parametri, almeno quindici società di B sarebbero saltate. Senza contare che le squadre salve non avranno un euro a disposizione per sostenere la stagione». Il climax di Macalli tocca l’apice quando si parla della spartizione dei diritti televisivi: «E’ uno scandalo, io non ci sto più! Esigo equità».
Di fronte al dramma, quasi scema l’interesse attorno alla querelle tra le leghe di A e B, che oggi hanno disertato il Consiglio, e la Figc. Se il presidente Beretta rincara («Ridicolo far passare l’idea che i club siano responsabili del flop ai Mondiali: si è scelto di andare con una selezione, avremmo potuto andare con un’altra, probabilmente l’Italia sarebbe stata in grado di portare due selezioni competitive»), Abete alza il solito muro: sugli extracomunitari non si torna indietro.
Quanto alle polemiche sulla Legge 91, quella che regola i rapporti tra club e atleti, e sul decreto Melandri, che impone la rappresentatività del 30% di atleti e tecnici nelle federazioni, il presidente si è trincerato dietro alla competenza dello Stato. Più delicata la questione legata all’accordo collettivo: sul vuoto attuale è stato chiesto parere all’Alta Corte di Giustizia del Coni.
Nel frattempo, la presidenza del Club Italia è stata assegnata a Demetrio Albertini: «Il Mondiale non c’entra», assicura Abete. In molti, però, sospettano che se all’ultimo minuto Pepe avesse fatto gol contro la Slovacchia, tutto sarebbe rimasto come prima.