Dal Romanista:
«Ora non ne parliamo più» dice il buon Reja affermando cose che ci sembrano di una gravità estrema. In sostanza l’allenatore della Lazio sostiene che non si poteva giocare contro l’Inter e contemporaneamente contro 50mila tifosi laziali né prima né dopo il primo gol incassato. Figuriamoci dopo lo 0-2. E che lui una cosa del genere non l’aveva mai vista in vita sua. No no, parliamone invece caro Reja. Perchè lo scandalo che ha coinvolto la Lazio oramai è scoppiato, e fragorosamente. Anche noi una cosa di quel tipo non l’avevamo mai vista. Per la sua sfacciataggine intrinseca. Per l’alibi creato su misura. Per la giustificazione che ogni aquilotto si era dato sul fatto che l’antisportività era la giusta vendetta al pollice verso di Totti. Ora che la Lazio in campo non sia in grado di fare molto è chiaro a tutti, ma che la paura di superare la propria metà campo fosse più alta dei fischi che i propri tifosi dedicavano a chi ci provava, è un secondo fatto acclarato. Erano stati minacciati i calciatori laziali? Erano stati catechizzati da sostenitori violenti giunti fuori Formello per “supportare” l’ultimo allenamento? Così è anche se non vi pare. E che a Formello sia accaduto qualche cosa, non solo è stato ammesso a caldo da alcuni giocatori, ma è stato scritto con tanto di inconfutabile virgolettato. Al punto che il procuratore della Repubblica di Tivoli ha aperto un’inchiesta e sta lavorando sullo scandalo calcistico di questo campionato. E sembra assai sconcertato (leggete la nostra intervista a pag 3) che la giustizia sportiva non abbia fatto doverosamente altrettanto. E non stiamo parlando di un giovane procuratore alle prime armi e in cerca di notorietà residente in un piccolo centro di Provincia.