Julio Baptista torna a parlare dopo sette mesi di silenzio e lo fa sulle pagine de Il Corriere dello Sport. L’occasione è utile per affrontare una serie di argomenti interessanti che vanno dal calciomercato ai Mondiali 2010. Con più di un sassolino nella scarpa che il brasiliano ha voglia di togliersi. Testuale:
Era arrivato nell’estate del 2008 come il grande colpo di mercato. Proveniente dal Real Madrid, Nazionale brasiliano, tutta la trafila nelle giovanili, una carriera a livello di club di primissima fascia: San Paolo, Siviglia, Real Madrid, Arsenal e Roma. Julio Baptista, un top player ovunque si stato. Quest’anno nella Roma non riesce ancora ad esprimere il suo valore ed è il primo ad essere dispiaciuto.
Deve riconquistare i tifosi, deve lottare per trovare spazio. Eppure per due volte Mourinho ha cercato di portarlo all’Inter. Non deve essere così scarso. Julio non ha mai detto di voler andare via, come hanno fatto altri calciatori. Eppure poteva andare nella squadra più forte d’Italia, non a lottare per non retrocedere. Oggi ha un chiodo fisso: riprendersi quello spazio e quella visibilità che aveva ottenuto al primo anno in giallorosso, con dodici gol, pur non essendo una prima punta.
Julio Baptista è un ragazzo sensibile, oltre che un grande professionista. Dopo sette mesi è tornato a fare un’intervista per farsi conoscere un po’ meglio dalla gente. Non per cercare alibi o giustificazioni, ma per spiegare il suo momento e chiedere di avere ancora un po’ di pazienza.
Julio Baptista, cosa è successo ad Atene?
«Abbiamo giocato male, dobbiamo riconoscerlo. Quando si sbaglia tanto in una competizione internazionale gli errori si pagano. Nel ritorno possiamo vincere e passare il turno. Con l’aiuto dei nostri tifosi in casa possiamo farcela. Si è trattato di un incidente di percorso dopo venti risultati positivi».
Nelle ultime settimane sta giocando con più continuità, ad Atene è partito titolare, ma non è riuscito a ripetere le prestazioni fornite contro la Fiorentina e il Palermo.
«Ora sto giocando di più, l’allenatore mi sta dando fiducia. Ora mi sento bene e so che posso fare il mio calcio. Ma ad Atene eravamo troppo lunghi. Ranieri ci ha già fatto rivedere il video della partita contro il Panathinaikos. Eravamo tutti fermi, il nostro sistema di gioco non ha funzionato. Un problema che ha riguardato tutta la squadra, non il singolo. Contro il Catania ci attende un’altra partita importante, se riusciamo a capire gli errori torniamo a giocare come prima».
Mourinho ieri ha detto che teme la Roma.
«Dipende tutto da noi, da quello che vogliamo fare. Dobbiamo ritrovare subito la mentalità giusta. Se manteniamo il livello che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo è la Champions, se possiamo arrivare più vicini all’Inter è meglio. Stiamo consolidando la posizione per la zona Champions. Certo, se l’Inter vince sempre non possiamo fare nulla».
Ad Atene uno sbandamento nel finale come a Cagliari.
«In campionato si può recuperare, contro il Panathinaikos era troppo importante. Siamo stati due volte in vantaggio, in dieci minuti abbiamo preso due gol, proprio noi che nei finali abbiamo spesso deciso le partite. I greci ci hanno creduto fino alla fine, hanno avuto un po’ di fortuna. Quello del secondo gol sembrava un pallone morto, il giocatore appena entrato ha fatto gesto tecnico irripetibile».
La prima sconfitta dopo quattro mesi può lasciare qualche strascico?
«No, non ci saranno contraccolpi psicologici. Attraversiamo un buon momento. Per una partita storta non possiamo buttare tutto all’aria. Dobbiamo continuare a giocare come abbiamo fatto in questi mesi, mettendo in difficoltà qualsiasi avversario».
Il passaggio da Spalletti a Ranieri ha richiesto un periodo di adattamento.
«C’è voluto un po’ di tempo per capire il suo calcio. Tutti hanno sofferto all’inizio, anche io. I metodi di lavoro sono diversi. Con Spalletti lavoravamo di più, con Ranieri le sedute sono più corte, ma più intense. Ranieri preferisce lavorare sul campo. In palestra ci si va per recuperare dopo un infortunio, oppure una volta a settimana per quel potenziamento necessario a sostenere tanti impegni ravvicinati. Siamo in un buon momento di forma, ci troviamo bene con Ranieri. Anche il modo di preparare le partite è diverso. Ci fa rivedere gli errori al video e a ridosso delle partite è un grande motivatore. Lui è convinto che le partite si decidano alla fine e ci fa lavorare per spingere di più nel finale».
Le sue difficoltà le sta cominciando a superare in questo periodo.
«Ho trovato la forza grazie all’aiuto delle persone che mi sono vicine. Questo è il calcio, ma so che non posso aver dimenticato le mie qualità».
Nella passata stagione era diventato un beniamino dei tifosi, oggi deve riconquistare quel calore.
«Lo so, il calcio è così. I tifosi sono molto passionali, vogliono sempre che un calciatore dia il massimo e se non ci riesce, senza conoscere i motivi, lo fischiano. Li capisco e voglio dare il meglio di me».
Adesso sta per uscire dal tunnel, rivede la luce.
«Ho sofferto nei momenti più difficili, quando la squadra non riusciva a ottenere risultati. Non potevi uscire di casa, i tifosi erano delusi. Adesso va abbastanza meglio. Non ho mai mollato, ho sempre lavorato per cercare di restare ai massimi livelli che ho raggiunto».
Spesso fa gli straordinari, è sempre tra gli ultimi ad uscire dal campo.
«Solo l’addestramento ti fa migliorare. Sui tiri in porta, le punizioni. Credo in me stesso e so che posso arrivare al top solo lavorando».
Con l’arrivo di Toni è aumentata la concorrenza in attacco.
«E’ così per tutti. Gioca chi sta meglio. E’ un fatto positivo per l’allenatore».
Non ha l’impressione che i brasiliani alla Roma siano un po’ passati di moda?
«Non lo so, il calcio è cambiato tanto. Di sicuro nei nostri confronti c’è sempre molta attesa, come è giusto che sia. Un brasiliano, specie se Nazionale, accende la fantasia del tifoso».
Nei momenti difficili ha sempre sentito la fiducia della società?
«Sì, i dirigenti mi hanno dimostrato la loro stima, anche quando non giocavo. Mi hanno aspettato e ho potuto avere la tranquillità per lavorare e per cominciare a migliorare».
In estate e a gennaio c’è stato l’interessamento dell’Inter. Lei non ha mai manifestato l’intenzione di andare via.
«Questa è la prima intervista che faccio dopo sette mesi e sul mio conto sono state dette tante falsità. Riguardo i miei infortuni e questa situazione di mercato. So che le società hanno parlato, ma io non ho mai detto: voglio andare via. Eppure la gente era convinta di questo e mi criticava. Ma la mia ferma volontà di restare l’ha confermata anche l’allenatore. A Roma mi trovo bene, mi sono adattato benissimo».
Anche all’interno dello spogliatoio?
«Certo. Alla Roma c’è un grande gruppo, con tanti bravi ragazzi. Io mi ero trovato così bene solo quando ero molto giovane al San Paolo. Da quando sono in Europa questo è il miglior gruppo nel quale ho lavorato. In campo tutti si aiutano e siamo molto uniti».
Contro il Palermo il primo gol in campionato.
«Non ho fatto niente di speciale, ma per quello che ho passato mi ha dato una grande soddisfazione ».
Cento gol nella carriera di professionista. Il più importante nella finale di Coppa America contro l’Argentina. Quello spazio nella Nazionale brasiliana non se lo è guadagnato per caso.
«Credo che nella Seleçao ho dimostrato il mio valore. Una volta, durante un allenamento, abbiamo fatto una scommessa su chi riusciva a colpire più volte la traversa, calciando dal limite dell’area. C’erano Dunga, Jorginho, Anderson e altri. Vinsi e mi portai a casa molte magliette dei miei compagni che avevamo messo in palio».
Adesso ci vorrebbe un grande gol su punizione, la sua specialità, per tornare a scaldare l’Olimpico
«Ma quest’anno non abbiamo molte punizioni. Quando ce n’è stata qualcuna ero in panchina… Finora ho fatto un solo gol su punizione, in Coppa Italia. Io preferisco calciare non troppo lontano dal limite dell’area e far passare il pallone sopra la barriera».
Come si augura che finirà la stagione della Roma?
«Preferisco non dirlo perchè i romani sono superstiziosi. Vinciamo le partite e non dico niente per non portare sfortuna…».
A Madrid aveva attraversato un periodo come questo?
«No, questo forse è il periodo più delicato della mia carriera. In Spagna ho fatto tanti gol nel Siviglia, ho vinto lo scudetto con il Real e ho firmato l’ultima vittoria delle merengues a Barcellona. Quest’anno un infortunio a inizio stagione mi ha condizionato, ma il peggio è passato. I compagni mi sono stati vicini. Ho visto con quale affetto mi hanno festeggiato dopo il gol di sabato scorso».
Che cosa chiede a questa sua esperienza romana?
«Non so cosa significhi vincere qui, ma credo che sia qualcosa di speciale, non ho mai visto una tifoseria come quella della Roma. Noi calciatori siamo stimolati a vincere».
Cicinho è tornato in Brasile. Ha mai pensato di fare la stessa scelta?
«No, anche se non ritengo sbagliata la scelta di Cicinho. Io ho sofferto e cerco di lavorare al massimo perche sono convinto che con le mie qualità avrò la possibilità di giocare. Se sto bene so che avrò il mio spazio. Spero di dare il mio contributo alla squadra. La felicità a Roma l’ho conosciuta, quando segnai il gol con il quale vincemmo il derby. Un gol che lascia il segno. Mi avevano raccontato cosa significasse, mai mai pensavo che fosse così bello. Vorrei riprovare un’emozione così».