A cuore aperto con Antonello Venditti in occasione della presentazione del suo libro “L’importante è che tu sia infelice“, titolo scelto in ricordo della madre. Il cantautore – e una miriade di altri titoli che risparmiamo nella forma ma non nella sostanza – si è concesso ai giornalisti de Il Corriere dello Sport e ha parlato della Roma toccando più di un aspetto interessante. Testuale:
“La Roma è il cuore pulsante, emozionante. Se si ferma la Roma si fermano anche una speranza di riscatto e di cambiamento in chiave sociale. La Roma appartiene al cuore e alla storia di tutti quelli che dal 1927 in poi hanno tifato e tifano per lei“.
Quando Antonello Venditti parla della Roma non resta mai in superficie, ma scava nel profondo, nell’anima di una passione che può sembrare inspiegabile per una bandiera, per quei due colori, per quegli undici in pantaloncini che corrono dietro un pallone. Senza inseguire l’applauso facile o l’unanimità. Spesso facendo discutere. Ma tant’è, e meno male che è così. Tanto che Antonello, raccontando in un libro (la sua prima fatica letteraria dopo un milione di bellissime canzoni) un po’ di sè e della sua vita, ha messo anche la Roma al centro dei suoi pensieri e dei suoi ricordi, come una presenza importante, indivisibile da tutto il resto.
Hai sentito il bisogno di raccontarti in un libro. Non bastava la prolifica produzione da cantautore?
“Non è la stessa cosa. Questo racconto nasce da un’esigenza quasi inaspettata. Alla morte di mia madre, due anni fa, invece di aprire i vecchi scatoloni e leggere… ho istintivamente preso a scrivere. A raccontare di me e di lei, di questo nostro amore racchiuso in questa frase controversa. “L’importante è che tu sia infelice”, Frase che mi ripeteva spesso come una sorta di provocazione, frutto di un’educazione che paradossalmente ha sviluppato in me la ricerca della libertà, della mia identità poi sfociata anche e soprattutto nella musica”.
Un racconto molto privato, ma dove anche l’amore per la Roma occupa un posto importante.
“La passione per i colori giallorossi per me non è mai stata secondaria. Ha sempre fatto parte del mio vivere e del vissuto di milioni di persone che dal 1927 in poi si appassionano, soffrono e gioiscono per la Roma. Per questo, rivoltando un po’ il titolo del mio libro dico “L’importante è che noi (romanisti) siamo felici”.
In un momento in cui proprio la tifoseria romanista sembra divisa, disillusa, addirittura all’opposizione di squadra e società.
“Da un paio d’anni i tifosi della Roma vivono due realtà, quella virtuale e quella reale. Dove la realtà virtuale spesso prende il sopravvento. Vale a dire, si parla, si pensa, si discute più della società e dei suoi problemi che di quanto avviene in campo, nella squadra, allo stadio, dove puoi vivere fisicamente la partita. Si è arrivati addirittura a fischiare un gol di Vucinic perché magari nella testa viaggiano pensieri di altro tipo. Più di chi giocherà, di come stanno i giocatori, magari interessa cosa sta facendo Unicredit. Siamo assediati da una realtà virtuale che travalica il senso di appartenenza. Non registro lo stesso stato di cose nei confronti di Moratti, Berlusconi o della Fiat. C’è disaffezione, è stato scavato un solco. Io direi invece di non fomentare, di ricominciare a parlare di calcio. Certo, anche di un centravanti che ci serve come il pane, e di un esterno basso a sinistra per esempio. Tutti vogliamo una Roma più forte”.
Ma quella di oggi com’è?
“Al completo questa Roma mi sembra ancora una squadra formidabile. Purtroppo ci sono sempre troppi assenti. Contro il Bologna ad esempio mancavano Totti e De Rossi, non so se mi spiego. Ranieri mi piace, è pragmatico, realista, sa dirti le cose direttamente e per quello che sono. Io ho fiducia in questo tecnico”.
Da un po’ di tempo non sei stato più avvistato allo stadio.
“Ma non c’è nessun mistero sotto. Noi del “Roma Capoccia” ci siamo presi un anno sabbatico. Dopo la perdita di Mimmo Spadoni, il nostro fondatore, abbiamo deciso per un anno di silenzio. Ma tornerò. E’ allo stadio che si vive meglio questa irrinunciabile passione per i colori giallorossi”.
Nel racconto ci sono anche le origini della tua passione romanista.
“Origini lontane, dei primi Anni Sessanta. Fu mio zio, Adalberto Siccardi, detto l’Avvocato, socio fondatore della Roma, a farmi amare questa squadra. Ero un bambino ma grazie a lui ho avuto la fortuna di conoscere giocatori mitici di quegli anni, nonostante la Roma non fosse una squadra di primissimo piano. Ricordo i vari Lojacono, Angelillo. Guarnacci, il capitano, abitava nel mio stesso palazzo di via Zara. La domenica uscivamo insieme, lui andava allo stadio a giocare la partita, io… pure, da piccolo tifoso. Solo che prendevo l’autobus. Era un altro calcio, più popolare e vicino alla gente. In quel periodo studiavo pianoforte e pensavo: “Un giorno scriverò l’inno della Roma”. Quando è morto mio zio ed ero già un cantautore, “Roma Roma Roma” mi è uscita dal pianoforte come un’esigenza irrinunciabile e, insieme ad alcuni miei colleghi romanisti doc di allora in RCA, l’abbiamo fatta diventare la canzone che è. Che forse allora, in periodo di grande impegno politico, consideravamo tutti in qualche modo minore, ma che invece, a pensarci bene, come Grazie Roma rimarrà, anche dopo di noi. A distanza di anni ho rivalutato moltissimo il peso specifico di quelle canzoni dedicate alla nostra passione».